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E Renzi partì all'attacco dell' "Europa tedesca"

tvsvizzera

di Aldo Sofia

Questo contenuto è stato pubblicato il 21 gennaio 2016 - 10:02

E' un po' come sparare sulla Croce Rossa, si potrebbe pensare del recente tiro ad alto zero di Matteo Renzi contro la Commissione europea di Bruxelles. L'esecutivo dell'UE non è mai stato così impopolare, in ciò riflettendo perfettamente la crisi di una comunità europea nella fase più minacciosa della sua esistenza: immigrazione di massa dal Medio Oriente, crisi di Schengen e Dublino, incertezza sul futuro della moneta unica, diffusa disoccupazione, mancato rilancio economico, costante avanzata elettorale di partiti e movimenti euro-fobici o comunque fautori di "un'altra Europa" (primato della politica e socialità al posto dei tecnocrati e dell'austerità). Se il premier italiano, cambiando disinvoltamente bersaglio in poche ore e passando dalla Merkel alla Commissione di Bruxelles, ha improvvisamente messo nel suo mirino questo "corpaccione" UE in difficoltà, e quasi paralizzato dalle sue contraddizioni, un motivo ci sarà. Anzi, più di uno.

Il primo è che, secondo il "cecchino" di Palazzo Chigi, l'Italia delle riforme renziane dovrebbe ottenere un più caloroso e generoso riconoscimento da parte di Bruxelles, e quindi essere ricompensata da una maggiore solidarietà e comprensione. Così, per esempio, per gli investimenti varati per salvare l'Ilva (il colosso malato dell'accieria italiana) e che secondo la Commissione puzzano invece di inaccettabili aiuti pubblici, banditi dalle regole comunitarie; oppure, sulla questione dei versamenti europei promessi alla Turchia per i rifugiati, progetto bloccato da Roma, che chiede di non calcolare la sua quota di 300 milioni nel bilancio dello Stato che rischia di sfondare il rapporto debito-PIL; o ancora, e sempre sul fronte migranti, l'Italia deve constatare il congelamento del progetto europeo per la distribuzione di quote nei vari paesi dell'Unione, mentre il governo Renzi subisce quotidianamente i rimproveri per non aver ancora organizzato i cosiddetti hot-spot per la registrazione dei migranti nel paese di prima accoglienza.

Insomma, dal "cu-cu" di Berlusconi alla Merkel - la "culona", la chiamò in una telefonata intercettata - alle esternazioni critiche e un po' frenetiche del segretario PD, nonché leader del principale partito socialdemocratico europeo. Sempre nel nome dell' "Italia che è tornata e che non accetta più di essere teleguidata dall'esterno", di un'Europa che non può più sopportare l'egemonia tedesca, di una comunità che dovrebbe essere "obamiana" (più investimenti pubblici) e meno merkeliana.

Non che Renzi abbia torto su tutta la linea, o che sia improvvisamente passato dalla parte degli anti-europisti. Ma il suo stile non è certo il più apprezzato nel gremio europeo, che ricambia con evidente freddezza. Se non con pesanti allusioni. Come quelle del capo gabinetto del commissario europeo Junker - altro novello bersaglio del premier italiano -, che accusa l'ex sindaco di Firenze di "alimentare il gioco dei populisti" che vogliono affossare l'UE. Quindi, un esplicito rimprovero di usare l'Europa per puro calcolo elettoralistico, per rincorrere o stoppare i rivali interni, Grillo e Salvini, che sui mali dell'Unione mietono buona parte del loro consenso politico.

Chi vincerà sul ring che oppone Bruxelles e Roma? E' probabile che alla fine non vi saranno né vincitori né vinti. Nella debolezza politica di entrambi sta lo spiraglio di un infruttuoso pareggio. Chi ha più bisogno dell'altro, l'Italia o l'Europa? Perché si può' metaforicamente sparare sulla Croce Rossa, senza però dimenticare di averne comunque bisogno.

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