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Nello spazio, la piccola Svizzera concorre con i grandi

Un secondo astronauta, un doppio Premio Nobel e strumenti per 50 missioni europee, americane, russe e cinese: nello spazio, la Svizzera è ovunque. Il Paese metterà a disposizione il primo "spazzino dello spazio" per ripulire i detriti in orbita, ha un proprio telescopio per gli esopianeti (Cheops) e la sua tecnologia è anche presente sul favoloso telescopio spaziale James Webb.

Questo contenuto è stato pubblicato il 16 maggio 2023 - 12:07
Skizzomat (illustrazione)

La notizia è giunta a fine novembre 2022: 44 anni dopo Claude Nicollier, l'Agenzia spaziale europea ha selezionato un secondo astronauta svizzero. Il bernese Marco Sieber, 33 anni, è stato selezionato tra un totale di 22'500 aspiranti. Lo abbiamo incontrato a Colonia dopo un mese di addestramento.

Le sue immagini continueranno a sorprendere il mondo. Perché vede nell'infrarosso, perché è molto più grande di Hubble, perché non è posizionato nell'orbita terrestre bassa ma a 1,5 milioni di chilometri dalla Terra. Il telescopio spaziale James Webb è lo strumento astronomico più potente mai costruito. Tra chi l'ha realizzato, ci sono anche degli svizzeri.

A inizio dicembre 2020, l'annuncio ha avuto una grande eco, a giusta ragione: ClearSpace-1 rappresenta almeno tre prime mondiali. L'Agenzia spaziale europea (ESA) ha siglato un contratto per un servizio completo e verserà quasi 100 milioni di franchi a una start-up che costruirà il primo sistema di smaltimento dei rifiuti spaziali.

Inoltre, per la prima volta, si tenterà di recuperare un pezzo di rottame metallico incontrollabile. È infatti giunto il momento di fare un po' d'ordine nel grande cassonetto che è diventata l'orbita della Terra, oramai pericolosa per tutto ciò che ci gira intorno.

Nel 1995, invece, la scoperta non aveva fatto parlare molto di sé al di fuori delle cerchie scientifiche. Poi, con il passare degli anni, il pubblico ha cominciato a capire che la realtà scientifica non è lontana dalla fantascienza: la galassia non formicola solo di stelle, ma anche di pianeti. E i primi ad aver identificato uno di questi mondi che orbitano attorno a una stella diversa dal Sole si chiamano Michel Mayor e Didier Queloz. E sono svizzeri.

Sono dovuti passare 24 anni prima che la scoperta valesse loro il Premio Nobel per la fisica.

Vuoti nazionalismi a parte, questo Nobel è pienamente giustificato. Per l'astronomia, la scoperta è una delle più importanti del XX secolo. Ha aperto nuovi ambiti di ricerca per comprendere il nostro posto nell'universo e ha moltiplicato per milioni le possibilità di trovare vita extraterrestre.

Ma l'impresa di scovare la vita non è semplice quando bisogna cercarla in mondi distanti centinaia di migliaia di miliardi di chilometri. Qui entra in gioco l'ingegno umano. E anche in questo caso, gli svizzeri sono presenti.

Ma forse non sarà necessario andare così lontano. Non è infatti escluso che la vita elementare e microscopica possa essere nata nel nostro sistema solare. Su Marte oppure su alcune lune di Giove o di Saturno? Lanciata nell'aprile 2023, la sonda europea JUICE ha la missione di andarci. A bordo c'è anche un dispositivo tecnologico sviluppato in Svizzera.

Parallelamente, la ricerca sugli esopianeti avanza. Oggi, cominciamo ad avere gli strumenti per capire di che cosa sono fatti. È la missione del telescopio spaziale CHEOPS, il primo satellite europeo "Made in Switzerland", lanciato nel dicembre del 2019. Dopo alcuni mesi di aggiustamenti in orbita, ha fornito nella primavera 2020 i primi risultati.

Ma reputazione degli svizzeri nello spazio non ha atteso ClearSpace, CHEOPS o Mayor e Queloz e neppure l'astronauta "nazionale" Claude Nicollier – il primo non statunitense specialista di missione della NASA – per affermarsi.

Nel 1969, Neil Armstrong e Buzz Aldrin sbarcano sulla Luna con al polso un orologio svizzero. E la prima cosa che fanno una volta sul satellite, prima ancora di piantare la bandiera a stelle e strisce, è installare la vela solare dell'Università di Berna – il solo esperimento scientifico non americano a bordo dell'Apollo XI.

Dagli albori dell'esplorazione spaziale, non c'è stata quasi nessuna missione statunitense o europea che non avesse a bordo almeno un po' di tecnologia svizzera. Perché questo Paese sa fabbricare strumenti precisi e affidabili, condizioni indispensabili per resistere alle difficoltà di un viaggio spaziale.

Che si tratti della propulsione di un rover su Marte, di "annusare" i gas che fuoriescono da una cometa oppure di scattare delle immagini in alta definizione di un pianeta del sistema solare, gli ingegneri svizzeri hanno la soluzione.

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