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La partita tra Iran e Arabia Saudita lungo la strada del negoziato nucleare

Islam contro Islam Carta di Laura Canali

Di Giorgio Cuscito (Limes)

Questo contenuto è stato pubblicato il 01 aprile 2015 - 22:16

L’esito dell’incontro tra i paesi del 5+1 e la Repubblica Islamica può incidere sui rapporti di Teheran con Riyad, suo principale rivale regionale, e con Israele, che considera la Repubblica islamica una minaccia alla sua esistenza.

L'incontro sul nucleare a Losanna (Svizzera) tra l'Iran e i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell'Onu (Stati Uniti, Francia, Regno Unito, Russia, Cina) più la Germania si è protratto oltre la deadline del 30 marzo. Le parti sono impegnate nella definizione di un accordo quadro per limitare la capacità di arricchimento dell'uranio (necessario per costruire la bomba atomica) della Repubblica islamica, in cambio della rimozione delle sanzioni economiche imposte a quest'ultima dall'Onu e dall'Occidente.

Se l'incontro avesse esito negativo, i negoziati sarebbero probabilmente compromessi. In caso di esito positivo, ci troveremmo di fronte a un fondamentale passo in avanti, che tuttavia non garantirebbe il raggiungimento di un'intesa definitiva. La definizione dei dettagli tecnici è, infatti, prevista entro il 30 giugno.

Ad ogni modo pare opportuno analizzare le conseguenze che l'accordo avrebbe per gli equilibri geopolitici in Medio Oriente, in particolare per quanto riguarda i rapporti dell'Iran con l'Arabia Saudita, suo principale rivale, e con Israele, che considera la Repubblica islamica una minaccia alla sua esistenza. Nel confronto tra Riyad e Teheran, la religione è uno strumento di legittimazione del potere più che la causa dei conflitti.

Le partite regionali

L'Arabia Saudita, alleato degli Usa, teme l'ascesa dell'Iran nella regione lungo l'asse sciita con i governi di Iraq e Siria. Questa è una delle ragioni che ha spinto la Casa dei Saud a sostenere i ribelli - e i jihadisti - disposti a rovesciare il regime di Damasco. Questa strategia ha messo in difficoltà il presidente siriano Bashar al Asad, ma non ne ha segnato la fine. In più, ha agevolato l'ascesa dello Stato Islamico (Is) del "califfo" Abu Bakr al Baghdadi e permesso l'arruolamento nelle sue fila di circa 20 mila combattenti stranieriLink esterno, di cui 3 mila dall'Europa. Questi oggi rappresentano una minaccia anche alla sicurezza dell'Europa e degli Usa, come confermano i recenti attentati condotti da alcuni di loro in CanadaLink esterno, BelgioLink esterno, AustraliaLink esterno, FranciaLink esterno e DanimarcaLink esterno.

Paradossalmente, presunti antagonisti dell'Occidente come Iran e Siria sono in prima linea insieme ai curdi e all'esercito iracheno (che ha da poco riconquistato TikritLink esterno) nel contrastare l'Is, supportati dai raid aereiLink esterno della coalizione guidata da Washington. Questa include proprio l'Arabia Saudita e altri paesi arabi, che interverrebbero volentieri non solo per combattere i jihadisti, ma anche per rovesciare Asad.

In tale contesto, il caos che regna oggi in Yemen non è casuale. Qui, da circa una settimana, Riyad guida una coalizione sunnita nei raid aereiLink esterno (con l'appoggio logistico e d'intelligence degli Usa) contro i ribelli sciiti huthi. Dopo aver conquistato Sana'a, questi hanno continuato la loro avanzata verso Sud, sostenuti dall'Iran. L'intervento di Riyad si spiega proprio con il timore che la tessera yemenita si incastri nel mosaico di Teheran.

Non è un caso che durante il summit della Lega araba, tenutosi nei giorni scorsi, i leader dei ventidue paesi partecipanti abbiano espresso nuovamente l'intenzioneLink esterno di creare un esercito arabo. La realizzazione di tale progetto, seppur al momento improbabile, mirerebbe a contrastare l'influenza regionale iraniana. Il governo iracheno, vicino a Teheran (ma sostenuto anche da Washington), ha ovviamente mostrato delle riserve sulla sua creazione.

Israele non credeLink esterno alle intenzioni pacifiche del programma nucleare dell'Iran e non ha escluso di attaccarlo qualora questo fosse vicino alla costruzione della bomba atomica. Inoltre, il difficile rapporto tra il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente Usa Barack Obama, ormai ai minimi storici, preoccupa Gerusalemme, che teme che Washington si disinteressi della regione.

L'esito positivo dei negoziati sul nucleare potrebbe riavvicinare Usa e Iran, danneggiare i rapporti che legano la Casa Bianca a Israele e Arabia Saudita e incidere sull'andamento della competizione regionale tra quest'ultima e l'Iran. In uno scenario simile, un aumento della tensione in Medio Oriente è più che un'ipotesi.

Per approfondire: Che guerre fannoLink esterno

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