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«Le battaglie non sono mai finite per le minoranze»

In alcuni paesi, un semplice bacio può portare direttamente al carcere. Keystone
Questo contenuto è stato pubblicato il 17 maggio 2017 - 14:00

​​​​​​​Dal 1942 l’omosessualità non è più considerata un crimine in Svizzera. Settantacinque anni dopo, le discriminazioni sono però ancora moneta corrente, in particolare sul posto di lavoro. È necessario sensibilizzare l’opinione pubblica per creare un ambiente professionale più aperto, sostiene Ferdinando Miranda, responsabile di progetti di genere all’università di Ginevra.

L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) non considera più l’omosessualità come una malattia mentale dal 1990. La transessualità figura però ancora sulla lista dei disturbi mentali censiti dall’OMS, nella categoria «distrofia di genere». Un’osservazione che riflette bene la situazione attuale delle minoranze sessuali.

In Svizzera, sono stati fatti progressi sociali e giuridici per quanto riguarda l’omosessualità, ma le persone transgender e intersessuali sono tuttora particolarmente vulnerabili alle discriminazioni.

«La transfobia è molto più forte dell’omofobia. La Svizzera non ha fatto alcun passo avanti in questo campo», afferma Ferdinando Miranda, responsabile di progetti legati alle questioni di genere e LGBTQI (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, queer e intersessuali) all’università di Ginevra. L’esperto cita in particolare la lunghezza delle procedure necessarie per ottenere un cambiamento di stato civile, ma anche le discriminazioni subite durante i processi di assunzione. «La lotta per ‘depatologizzare la transidentità’ non è ancora vinta».

Battute e stereotipi sul posto di lavoro

L’omofobia diretta è piuttosto rara in Svizzera. Le discriminazioni si manifestano per lo più indirettamente, soprattutto in ambito professionale. Secondo uno studioLink esterno realizzato dall’università di Ginevra nel 2014, il 70% delle persone LGBTQI si considera vittima di discriminazione sul posto di lavoro.

«I commenti possono riguardare il modo di vestirsi o di comportarsi di una persona e la discriminazione può manifestarsi sotto forma di battute di cattivo gusto», afferma Ferdinando Miranda. Fattori che contribuiscono a creare un clima ostile e a dissuadere il 60% circa degli omosessuali dall’affermare apertamente il loro orientamento sessuale.

Lacune giuridiche

Sul piano legale, la Svizzera è in ritardo rispetto ai paesi vicini. Le coppie omosessuali possono registrare la loro unione, ma non possono sposarsi. Ciò crea una discriminazione nei confronti delle famiglie arcobaleno. «Le coppie dello stesso sesso non hanno diritto all’adozioneLink esterno, neppure quando si tratta di un figlio del partner», sottolinea Ferdinando Miranda.

L’esperto sostiene inoltre che la Svizzera dovrebbe permettere di punire l’omofobia e la transfobia. Il deputato socialista Mathias Reynard ha depositato un’iniziativa parlamentareLink esterno in tal senso, che chiede di includere la discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale nel Codice penale svizzero, all’articolo 261 bis, ossia la norma federale anti razzismo.

Un linguaggio più aperto?

Cambiare le basi legali però non basta, bisogna anche sensibilizzare, educare e informare nelle scuole, nelle aziende e nelle istituzioni. Ferdinando Miranda sottolinea l’importanza di utilizzare un «linguaggio inclusivo». Perché chiedere sistematicamente a una donna se ha un compagno o a un uomo se ha una moglie, si chiede l’esperto. La Svizzera, secondo Miranda, è inoltre in ritardo rispetto ad altri paesi per quanto riguarda la rappresentazione dei modelli famigliari. Le pubblicità che mostrano coppie omosessuali sono infatti rare nel paese.

Presunti omicidi di omosessuali in Cecenia, condanne a morte e repressioni violente in alcuni paesi, recrudescenza di movimenti ultraconservatori: bisogna preoccuparsi del clima nei confronti delle persone LGBTQI? «Per ogni progresso importante, ci sono anche delle battute d’arresto, delle reazioni di rigetto, risponde Ferdinando Miranda. È per questo che le battaglie non sono mai finite per le minoranze. Bisogna sempre stare in guardia».

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