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L'arte del Grüssech

Imparare il tedesco non è nulla rispetto alla fatica di decrittare usi e costumi degli svizzeri tedeschi.

Questo contenuto è stato pubblicato il 17 novembre 2019 - 15:00
Serena Tinari
"Chiedere un qualunque articolo implica utilizzare una formula di cortesia che tradotta dal tedesco in romano suonerebbe molto cerimoniosa, una roba tipo Lei sarebbe tanto gentile da consentirmi, cortesemente, di acquistare quella mela?" © Keystone / Gaetan Bally

La mia famiglia d’origine, pur essendo di casa a Roma, è sempre stata cortese. Dico nonostante la romanità, perché sono consapevole che, rispetto a un milanese o un fiorentino, chi viene dalla capitale può venire facilmente etichettato come cafone e burino, per dirla in dialetto romano. Ovvero, maleducato. C’è che parliamo a voce alta, ci diamo gran pacche sulla schiena, tendiamo ad abbracciare e sbaciucchiare gente appena conosciuta e abbiamo un che di sbrigativo nel dire e nel fare. I miei mi hanno cresciuta a botte di "per cortesia", "saresti così gentile da" e mi hanno spiegato fin da bambina che finché non arrivi ad avere confidenza con una persona, devi continuare a darle del lei.

Quando sono arrivata a Berna avevo ventotto anni, non certo un’infanta. Prendere coscienza della barriera linguistica è stato un evento traumatico, perché il tedesco che parlano gli svizzeri sa essere particolarmente ostico. Ma impararlo è stato nulla, rispetto alla fatica di decrittare gli usi e i costumi quotidiani.

Un'italiana a Berna - Rubrica semiseria di mediazione culturale Nata e cresciuta a Roma, la giornalista Serena Tinari vive dal 2002 nella capitale svizzera. In questa serie, che fa seguito a quella di Gaëlle Courtens da Roma, ci propone il suo sguardo sulla realtà svizzera e su usi e costumi confederati. tvsvizzera

Anzitutto, quando passeggi lungo il meraviglioso fiume verde di Berna gli sconosciuti ti salutano. Ti guardano fisso negli occhi e dicono Grüssech, che starebbe per salve. Giuro che se lo fai a Roma ti prendono per uno stalker. Nella città da cui vengo, infatti, non esiste salutare per strada un individuo che non conosci, è una cosa che proprio non si fa.

Poi per carità, siamo campioni mondiali a diventare migliori amici in sette minuti, ma quella è un’altra storia. Sicché i primi mesi che andavo all’Aare a pascolare il cane rimanevo di continuo a bocca aperta. Intendo letteralmente a bocca aperta: mi stupivo, non sapevo cosa dire, e già la persona era passata, spesso scuotendo leggermente la testa di fronte al mio colpevole silenzio.

Credo che Grüssech sia stata la prima parola che ho imparato in svizzero-tedesco, tale la vergogna quando finalmente capii che loro semplicemente mi salutavano e io inconsapevole maleducata non rispondevo.

Buongiorno, arrivederci, grazie...

E poi vai in un negozio, uno qualsiasi. A Roma si dice buongiorno e quando si esce si dice arrivederci e grazie. A Berna, la pantomima è ben più complessa. Anzitutto entri e dici Grüssech, e quella ti risponde Grüssech. Chiedere un qualunque articolo implica utilizzare una formula di cortesia che tradotta dal tedesco in romano suonerebbe molto cerimoniosa, una roba tipo Lei sarebbe tanto gentile da consentirmi, cortesemente, di acquistare quella mela? A Roma dirai: Vorrei una mela. Punto.

Il tutto prende il suo tempo e assomiglia bizzarramente a quell’effetto un po’ comico del turista europeo in Giappone dove, un inchino dopo l’altro, rischi di rimanere incastrato per minuti in reciproche flessioni.

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E non finisce qui. La commessa bernese ti risponderà: Con grande piacere! E tu lì devi dire per la prima volta grazie mille. Devi ringraziare anche quando le porgi il denaro, e quando lei ti porge il resto, e dici grazie almeno altre tre volte prima di uscire dal negozio. Siccome la commerciante a ogni tuo grazie ti dice grazie, prego, volentieri e varianti sul tema, il tutto prende il suo tempo e assomiglia bizzarramente a quell’effetto un po’ comico del turista europeo in Giappone dove, un inchino dopo l’altro, rischi di rimanere incastrato per minuti in reciproche flessioni.

Col senno di poi, oggi che sono diventata una professionista della cortesia bernese, mi rendo conto che i primi anni che ho trascorso in Svizzera devo essere sembrata una persona scortese. Sparavo sempre un sorrisone, quello sì, ma l’articolo non è tanto popolare a Berna, soprattutto nei grigi tempi d’inverno, dove la gente è tendenzialmente un po’ depressa.

Il balletto dei ringraziamenti

Non ci biasimate, è che noi svizzeri d’Oltregottardo non vediamo il sole per settimane di fila e quindi andiamo in catalessi. Al posto del sorrisone, che a Roma vale parecchi punti karma, i bernesi attribuiscono invece enorme importanza al balletto dei ringraziamenti.

Così oggi quando arrivano amici romani in visita per la prima volta alle mie latitudini, cautamente li introduco all’arte del Grüssech e del Danke. Loro arrossiscono, perché si rendono conto all’improvviso che forse in questo noi romani non siamo poi così perfetti.

In questo solo, intendiamoci, ché su una cosa nella capitale non si scherza: è solo per un bisticcio della storia che non siamo più imperatori. La cosa interessante è che pure su questo punto, bernesi e romani non si capiscono.

Ancora oggi, il mio elvetico marito sostiene che mai la Svizzera è stata toccata dai romani. Mente sapendo di mentire, ovviamente, ma lo fa con tanta convinzione che a noi romani ci fa tenerezza, tanto che lo abbiamo ribattezzato Il Barbaro. I sandali con i calzini, il cibo poco raffinato, la fissa delle grigliate in estate, naturalmente con le birkenstock ai piedi. Lui ci riduce regolarmente ad un imbarazzato silenzio quando ci ricorda che in Elvezia almeno siamo cortesi, mentre noi romani siamo maleducati, con quel modo di fare sbrigativo, le mani dappertutto, e poi che modo è di fare, che per strada la gente neanche ti saluta?

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