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Il grande divario sociale e morale dei salari

Nel 2011, il direttore di Novartis Joseph Jimenez ha guadagnato 266 volte di più rispetto al suo dipendente meno pagato. Reuters

Le forbici salariali dalla metà degli anni '90 hanno continuato ad allargarsi in Svizzera, suscitando l'indignazione di gran parte dell’opinione pubblica. Ma è possibile definire una retribuzione abusiva o un salario equo?

Questo contenuto è stato pubblicato il 08 gennaio 2013 - 11:00
swissinfo.ch

Il dipendente meno pagato della Novartis dovrebbe lavorare almeno 266 anni per poter guadagnare quanto il suo direttore Joseph Jimenez nel 2011, anno in cui ha intascato 15,722 milioni di franchi. È il maggior divario registrato nell’inchiesta annuale del sindacato Travail.Suisse, pubblicata in giugno.

Al terzo posto, con un rapporto di 1 a 229, si colloca il presidente del consiglio d’amministrazione del gigante farmaceutico basilese, Daniel Vasella, che era stato alla testa della classifica dal 2005 al 2009 con retribuzioni che sfioravano i 40 milioni di franchi all’anno.

“Indecenti”, “eccessivi”, si indignava allora gran parte dell’opinione pubblica. Nel 2010, in piena tempesta finanziaria, Vasella era scalzato dal primo posto dal patron del Credit Suisse, Brady Dougan, con i suoi 90 milioni di franchi di rimunerazione annua. Vale a dire 1'812 volte più che il dipendente meno pagato della grande banca. Proteste generali.

Venne quindi l’ora del pentimento, la fine annunciata dei bonus esagerati, delle decine di milioni di franchi accumulate dagli alti dirigenti dell’UBS, gli stessi che per poco mandavano in rovina la Svizzera con le loro operazioni azzardate nel mercato statunitense dei subprime.

Cosicché, negli ultimi due anni il divario salariale si è lievemente ridotto in Svizzera. “Si è appena attenuato”, deplora il sindacato Unia, il quale ha calcolato che nel 2011 in media un top manager guadagnava circa 39 volte più di un impiegato di base, contro 43 volte nel 2010. Un calo ampiamente inferiore a quello degli utili delle 41 società più importanti quotate alla Borsa svizzera, che sono scesi da 84 a 56 miliardi di franchi (-35%).

Jean-Jacques Friboulet, professore di etica economica

Non esiste alcuna giustificazione economica per i salari esorbitanti dei dirigenti.

La svolta neoliberale

L’andamento di base è incontestabile. L’Unione sindacale svizzera (USS) ha calcolato che tra il 1997 e il 2008, il numero di persone che guadagnavano più di un milione di franchi all’anno è schizzato da 510 a 2'824. Nello stesso lasso di tempo, il reddito reale delle 40mila persone meglio pagate è aumentato di oltre il 20%, mentre la crescita dei salari bassi e medi si è attestata tra il 2 e il 4%.

Ma ci si deve scandalizzare per questa evoluzione? “Non esiste alcuna giustificazione economica per i salari esorbitanti dei dirigenti, afferma Jean-Jacques Friboulet, professore di etica economica all’università di Friburgo. Con la svolta liberale degli anni ’90, alcuni limiti sono saltati. La barriera morale, religiosa e culturale di essenza protestante, che frenava l’arricchimento nel capitalismo di tipo familiare, si è infranta”.

Secondo Jean-Jacques Friboulet, l’economia ha mostrato di essere incapace di autoregolarsi. Perciò egli accoglie positivamente l’iniziativa popolare “contro le retribuzioni abusive”, sulla quale l’elettorato svizzero si esprimerà il 3 marzo. Essa chiede in particolare di sottoporre al voto dell’assemblea generale degli azionisti la somma delle rimunerazioni dei membri della direzione e del consiglio d’amministrazione delle società svizzere quotate in borsa.

“Cocenti fallimenti storici”

“In una democrazia semidiretta evidentemente il popolo ha il diritto di esprimersi su questioni di società, osserva Cristina Gaggini, direttrice per la Svizzera francese dell’organizzazione padronale economiesuisse, che si oppone fermamente all’iniziativa. Ma fuori dall’Europa non si capisce questo dibattito. Negli Stati Uniti, in Cina o in India si ostenta con fierezza il proprio salario, simbolo dell’ascesa sociale”.

Quanto ai divari salariali, per Cristina Gaggini non pongono il benché minimo problema. “Il fenomeno risale all’antichità. I tentativi di risolvere questi divari si sono saldati con dei fallimenti storici cocenti”, commenta la sostenitrice dell’economia di mercato.

Il sindacalista e sociologo Alessandro Pelizzari evidentemente non condivide questo parere, ma concorda con la rappresentante padronale su un punto: dal profilo contrattuale non esiste una retribuzione indecente o abusiva, così come non si può parlare di salario equo.

“È tutta una questione di rapporto di forza. Questo determina da una parte la ripartizione dei redditi tra il capitale e il lavoro e dall’altra la ripartizione tra i salariati stessi”, precisa il sindacalista.

È chiarissimo che il rapporto di forza si è ribaltato in favore del capitale negli ultimi vent’anni. “Alla fine dei Trenta gloriosi, i salari rappresentavano circa il 70% del prodotto interno lordo (Pil), contro il 60% odierno, puntualizza Jean-Jacques Friboulet. È in quest’epoca che i top manager hanno cominciato ad appropriarsi di una parte sostanziosa dei profitti”.

Iniziativa Minder

L’iniziativa “contro le retribuzioni abusive”, lanciata dall’imprenditore Thomas Minder, vuole introdurre un articolo costituzionale con una serie di disposizioni che rafforzano i diritti degli azionisti delle società svizzere quotate in borsa, per evitare che i top manager si elargiscano rimunerazioni esorbitanti, senza alcun rapporto con i risultati della loro società.

In particolare, il testo dà all’assemblea generale le competenze di eleggere ogni anno tutti i membri del consiglio d’amministrazione e di decidere la somma delle rimunerazioni di questo organo, della direzione e del comitato consultivo. Indennità anticipate, buone uscite e premi in caso di acquisto o di vendita dell’impresa sono proibiti. Pure vietati i voti per delega.

L’elettorato voterà il 3 marzo. In caso di rifiuto, dovrebbe entrare in vigore un controprogetto adottato dal parlamento. Si tratta di una revisione del diritto della società anonima e del diritto contabile che riprende parte delle misure previste dall’iniziativa, ma attenuate.

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Un divario massimo di 1 a 12?

Prima del movimento di liberalizzazione degli anni ’90, la scala salariale in seno alle grandi aziende raggiungeva un rapporto massimo di 1 a 40. “L’opinione pubblica riteneva che il livello di responsabilità e di assunzione di rischi dei dirigenti valesse tali retribuzioni”, spiega Friboulet. Buone uscite dorate, bonus faraonici e vantaggi di ogni sorta, accordati talvolta anche in caso di risultati negativi, hanno cambiato la situazione Alcuni limiti sono saltati.

Il sentimento generale di indignazione ha incitato la Gioventù socialista a promuovere a sua volta un’iniziativa popolare, che dovrebbe essere sottoposta a votazione federale entro la fine di quest’anno o l’anno prossimo. Denominata “1:12 – Per salari equi”, esige che il salario massimo in seno a un’azienda non possa essere più di dodici volte quello più basso.

“Occorreva fissare un rapporto e trovare un compromesso che avesse una probabilità di essere accettato in votazione popolare”, dice Alessandro Pelizzari. Secondo il sindacalista, è tuttavia impossibile determinare una forbice salariale “decente”. “All’Unia il divario è di 1 a 3. Ma è già difficile giustificare questa differenza”.

Jean-Jacques Friboulet ritiene che una scala di 1 a 12 sia accettabile nel settore pubblico, ma non sia adatta a quello privato, poiché “un’economia di mercato funziona solo se i dirigenti sono interessati agli utili aziendali”.

Dal canto suo, Cristina Gaggini manifesta incredulità. “Nessuno stato al mondo ha fissato una simile soglia massima. Il salario è fonte di motivazione. Quando un dirigente guadagna molto, paga anche molte imposte: in Svizzera, la ridistribuzione è assicurata da tanto tempo”.

Che dire dei premi di Federer?

Perché l’opinione pubblica si scandalizza delle retribuzioni di certi dirigenti e non dei guadagni di sportivi, come per esempio Roger Federer che pare raggiunga quasi 40 milioni di franchi all’anno?

“In un’azienda lo sforzo è collettivo. Il merito dell’utile dovrebbe andare sia ai salariati sia ai quadri superiori. Lo sportivo rappresenta, al contrario, la figura dell’ideale meritocratico e democratico”, ha sottolineato di recente Fabien Ohl, sociologo dello sport all’università di Losanna.

Se Roger Federer riesce, è soltanto grazie al suo talento. Agli occhi dell’opinione pubblica si giustifica dunque che gli spetti gran parte dei redditi che genera. Invece, “se un amministratore si attribuisce una retribuzione astronomica, rischia di mettere a repentaglio l’azienda”, aggiunge l’economista Jean-Jacques Friboulet. Gli sportivi o le stelle del cinema sono al contrario degli indipendenti che non devono nulla a nessuno.

Il salario è d’altronde un elemento essenziale della stima in sé stessi, sostengono numerosi psicologi. È dunque insopportabile che il valore di un individuo sia stimato 200 o 400 volte il proprio. Salvo se si tratta di Roger Federer, un essere di un’altra dimensione con il quale il comune mortale non può misurarsi.

“Roger Federer è certamente più simpatico agli occhi dell’opinione pubblica, ma non si può paragonare il suo livello di responsabilità con quello di un alto dirigente di una grande azienda”, replica la direttrice per la Svizzera romanda di economiesuisse, Cristina Gaggini.

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