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La Svizzera finanzia una serie tv nigeriana per dissuadere i migranti

Sfatare il mito dell’eldorado elvetico e informare i migranti africani sui rischi del viaggio verso l’Europa: è l’obiettivo di una serie televisiva nigeriana finanziata dalla Svizzera. L’impatto di un simile progetto, costato 450'000 franchi, è però tutt’altro che scontato.

Questo contenuto è stato pubblicato il 21 febbraio 2017 - 16:40
Stefania Summermatter con SRF
Per alcuni migranti, il sogno di cominciare una nuova vita in Svizzera può trasformarsi in un inferno: non riconosciuti come rifugiati, devono infatti rientrare nel loro paese. Keystone

Vivere in Svizzera non è sempre facile. Ne sa qualcosa Joshua, giovane nigeriano al quale le autorità hanno negato l’asilo e che ora vive illegalmente in Svizzera. La sua storia fa da filo conduttore alla serie televisiva “The missing steps”, una coproduzione svizzero-nigeriana realizzata nell’ambito del partenariato migratorio firmato dai due paesi nel 2011.

Nel 2016, sulle 27'207 domande d’asilo presentate in Svizzera, 1'106 provenivano da cittadini nigeriani (4,1%). Lo stesso anno, solo 3 persone hanno ricevuto l’asilo e 6 l’ammissione provvisoria su 1'261 casi trattati. 

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Sì, perché questa serie in 13 puntate ha un obiettivo preciso: dissuadere i migranti nigeriani dal venire in Svizzera in cerca di un futuro migliore. “Vogliamo fornire informazioni obiettive sulla migrazione, mostrare che la traversata (del Mediterraneo, nrd) è pericolosa e che le possibilità per i nigeriani di ottenere l’asilo sono ridotte. Inoltre intendiamo spiegare che la vita da clandestini in Svizzera non è facile”, ha dichiarato alla radiotelevisione svizzero-tedesca (SRF) Lukas Rieder, portavoce della Segreteria di Stato della migrazione (SEM). 

Il budget previsto per la realizzazione del progetto è di 450'000 franchi e sarà coperto integralmente dalla SEM. La serie include anche alcune scene girate in Svizzera proprio in questi giorni, dal regista nigeriano Charles Okafor e dalla sua troupe.

Non è la prima volta che la SEM si lancia in un progetto simile. Nel 2007 aveva finanziato uno spot di due minuti diffuso in diversi paesi africani come il Camerun o la stessa Nigeria. Il messaggio? “Non credete a tutto ciò che vi viene detto!”. Il clip aveva sollevato critiche, perché mostrava la Svizzera “sotto una cattiva luce”. Nel 2013 era stato il turno del Kosovo, con dei video pubblicati su YouTube e destinati ai giovani.

La Svizzera non è l’unico Stato ad aver finanziato simili campagne. Anche paesi come la Germania, l’Italia o l’Australia hanno prodotto dei video, con messaggi più o meno aggressivi rivolti ai migranti.

Ma questa strategia funziona? L’esperta di migrazione Jill Alpes non ne è convinta. “La maggior parte delle persone conosce esattamente i rischi della migrazione, grazie ad amici e parenti”, ha spiegato alla SRF la ricercatrice, che ha condotto uno studio in Camerun sul modo in cui i migranti si informano prima di partire per l’Europa. Jill Alpes dubita che questi video abbiano un impatto diretto sui flussi migratori: “Non solo non forniscono informazioni nuove, ma la gente sceglie con cura le fonti di cui fidarsi”.

Anche Amnesty International s’interroga sull’impatto di queste campagne. “È chiaro che i migranti dovrebbero essere informati in modo corretto sulla legge e sulle procedure d’asilo elvetiche”, afferma a swissinfo.ch la giurista Denise Graf. “La Svizzera dovrebbe però prima di tutto adoperarsi per migliorare la situazione dei diritti umani e la ripartizione delle risorse in Nigeria. Sono aspetti fondamentali se vogliamo che la gente abbia anche solo la possibilità di restare nel proprio paese”. 


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