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Svizzera tolta dalla black-list di Roma, cosa cambia ora?

Meno preoccupazioni con il fisco italiano per chi si trasferisce nella Confederazione © Keystone / Christian Beutler

Tra gli effetti della decisione italiana l'inversione dell'onere della prova per le e i contribuenti che si trasferiscono nella Confederazione e il dimezzamento delle sanzioni.

Questo contenuto è stato pubblicato il 04 agosto 2023 - 18:25
tvsvizzera.it/spal

Con la firma nei giorni scorsi del relativo decreto da parte del ministro dell’economia e delle finanze Giancarlo Giorgetti, la Confederazione esce formalmente dalla black list delle persone fisiche in cui l’Italia l’aveva inserita nel 1999.

Un provvedimento che era finalizzato a lottare contro l’emigrazione fittizia delle e dei contribuenti italiani per motivi tributari. Con questo atto viene dato seguito alla dichiarazione di intenti concordata lo scorso 20 aprile tra i ministri delle finanze dei due Paesi, Karin Keller-Sutter e, appunto, Giancarlo Giorgetti, con cui si è voluto regolarizzare le questioni fiscali ancora pendenti (in realtà quella sul telelavoro dei frontalieri non ha ancora una soluzione definitiva).

Intese fiscali su più livelli

La firma si inserisce nel pacchetto di intese fiscali che si sono moltiplicate negli ultimi anni tra Italia e Svizzera, non ultimo l’accordo del 23 dicembre 2020 sull’imposizione delle lavoratrici e dei lavoratori frontalieri e la relativa modifica della convenzione bilaterale contro le doppie imposizioni, ratificati a fine giugno dal Parlamento italiano.

Proprio all’articolo 12Link esterno della legge di ratifica (legge 83/2023) viene specificato testualmente che “alla luce del  rafforzamento dei rapporti  economici tra la Repubblica italiana e la Confederazione  svizzera in virtù della ratifica dell'Accordo relativo all'imposizione dei lavoratori frontalieri (…) si provvede all'eliminazione della Svizzera dall'elenco di cui all'articolo 1 del decreto del Ministro delle finanze 4 maggio  1999”.

Roma cambia atteggiamento

C’è da interrogarsi sulle ragioni che hanno condotto Roma a questo passo, dopo decenni di scudi fiscali e tensioni nei confronti della Confederazione, accusata più o meno velatamente di offrire da decenni rifugio, attraverso il suo sistema bancario, alle e ai contribuenti italiani che volevano sottrarsi all’Agenzia delle entrate. La Confederazione era in sostanza considerato uno Stato a tassazione privilegiata che offriva a privati e società le condizioni per eludere o addirittura evadere i tributi dovuti.   

+ Firmato l'accordo fiscale tra Italia e Svizzera

I criteri che determinano l’inserimento di un Paese in una black list sono stati individuati a livello di Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) e vengono condivisi a livello UE.

  • la sostanziale assenza di imposte sui redditi delle imprese costituite nei propri territori; 
  • l’assenza, all’interno dei rispettivi ordinamenti giuridici, dell’obbligo per le società ivi costituite di svolgere un’effettiva attività d’impresa nei relativi territori; 
  • la carente trasparenza del sistema legislativo e amministrativo, che consente a determinati soggetti di beneficiare di privilegi fiscali traducentesi in un assottigliamento dei livelli d’imposizione fiscale; 
  • l’assenza di alcun meccanismo di scambio delle informazioni fiscali tra tali Paesi e gli altri Stati volto a garantire sia il corretto e pieno esercizio della potestà impositiva di questi ultimi, sia la lotta efficace alla evasione ed elusione fiscale internazionale. 
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Ma l’inclusione della Svizzera in questa lista nera in cui figurano i paradisi fiscali, si sottolineava a Berna, non aveva più nessun fondamento dal momento in cui è stato eliminato il segreto bancario (per i contribuenti esteri). Infatti, la Svizzera ha aderito agli standard internazionali in materia di assistenza fiscale introducendo lo scambio di informazioni, anche bancarie, su domanda con l’Italia dal 2015 e quello automatico con l’Unione europea dal 2017, che hanno decretato la fine del segreto bancario.

Inoltre già nel febbraio 2015 i ministri dei due Paesi Eveline Widmer-Schlumpf e Pier Carlo Padoan sottoscrissero a Milano la famosa RoadmapLink esterno destinata a risolvere tutte le vertenze finanziarie e fiscali (in particolare quella relativa ai beni non dichiarati in Svizzera prima dell’entrata in vigore dello scambio automatico). La collaborazione su questi temi rendeva quindi difficilmente giustificabile il perdurare della diffidenza, che sfociava talvolta in ostilità aperta, che filtrava talvolta da Roma.

Le conseguenze dell'uscita dalla black list

Per tornare alla black list è interessante valutare le conseguenze pratiche della decisione del Ministero dell’economia e delle finanze italiano. Innanzitutto va rilevato che dal profilo fiscale la novità riguarderà le tassazioni future, dal 2024 in avanti. L’effetto più rilevante però consiste del venir meno della presunzione di residenza fittizia che incombeva su chi si trasferiva finora nella Confederazione, con conseguente inversione dell’onere della prova.

Non spetterà quindi più alla o al contribuente di fornire la prova del proprio reale radicamento in Svizzera ma sarà l’amministrazione che, al contrario, dovrà dimostrare la fondatezza della sua contestazione. Questo significa che le e i nuovi residenti, titolari di un permesso di soggiorno (B) o di domicilio (C), con un’attività professionale e la famiglia nella Confederazione, non saranno più tenuti a documentare l’assenza di legami con il proprio Paese d’origine

Termini per gli accertamenti e sanzioni

Un secondo effetto riguarda il raddoppio dei termini di accertamento da parte delle autorità tributarie: chi detiene immobili e attività finanziare in Svizzera potrà essere oggetto di controlli nel termine ordinario di 5 anni e non più di 10 (estendibile a 14 in caso di omessa dichiarazione fiscale). Sul piano delle sanzioni queste si dimezzeranno.

Per i beni e le attività finanziarie non dichiarate ci sarà una sanzione tra il 3% e il 15% dell’importo sottratto al fisco, al posto del 6%-30% applicato agli investimenti detenuti nei cosiddetti paradisi fiscali, tra cui precedentemente figurava anche la Svizzera.

Un’ulteriore presunzione che viene meno riguarda le attività finanziarie detenute in Stati a tassazione privilegiata si considerano costituite, salvo prova contraria, con redditi sottratti al fisco. Anche questo meccanismo non opererà dal 2024 per i beni detenuti nella Confederazione.

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