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Si pensava di restare poco

Tenere unita la famiglia, anche quando lo spazio è poco. Famiglia italiana a Emmenbrücke nel 1975, anonimo

Dodici ritratti per un film che racconta il destino degli emigranti italiani. Dall’Italia alla Svizzera, con un biglietto di sola andata.

Questo contenuto è stato pubblicato il 08 novembre 2003 - 10:20

Il film, presentato a Coira in margine all’esposizione fotografica «Il lungo addio», stempera nel sorriso dei protagonisti l’esperienza certo non facile dell’emigrazione.

«Il passato non dà alcuna risposta se prima non gli abbiamo posto qualche domanda intelligente e questa mostra pone domande intelligenti». Per Claudio Lardi, direttore del dipartimento della cultura del canton Grigioni è questo il valore profondo di una mostra fotografica come «Il lungo addio».

Già, la storia degli italiani che arrivarono in Svizzera negli anni Cinquanta e Sessanta per sfuggire alla miseria del dopoguerra è un capitolo del passato. Ma troppe ancora sono le ferite aperte e le sfide lanciate dai flussi migratori del futuro per dichiararlo un capitolo chiuso.

Coira è la prima tappa svizzera della mostra, realizzata dall’Istituto Svizzero di Roma. Le fotografie, quasi tutte in bianco e nero e opera di professionisti, hanno un alto valore estetico e documentario, ma forse proprio per questo restano anonime: il volto di qualcuno che è il volto di tutti, l’addio di una moglie che è l’addio di tutte le mogli, le mani di un operaio che sono le mani di tutti gli operai.

Il Museo retico di Coira ha dunque pensato di dare una nota personale all’esposizione, presentando anche il racconto di alcuni italiani emigrati nel canton Grigioni. Da quest’idea è nato un film, realizzato da Francesca Cangemi e Daniel von Aarburg: 12 ritratti, brevi quanto intensi, di persone provenienti da diverse regioni d’Italia – c’è anche un’altoatesina di madrelingua tedesca – e da diverse realtà sociali – dalla figlia di contadini al prete passando per il laureato in economia.

Un divano per raccontare, ridere e commuoversi

Il film, complice un budget molto limitato, ha qualcosa di seriale. Prendendo posto di volta in volta su un divano, gli emigrati raccontano la loro storia, mostrano le loro fotografie («Sono nostre, sono più vere, più calde di quelle esposte», mi dice il dottor Gian Paolo Galgani, uno dei protagonisti), cantano le loro canzoni, si commuovono, ma soprattutto sdrammatizzano: l’emigrazione non è stata solo dolore.

«Mio marito non voleva farmi venire in Svizzera», racconta nel filmato Renata Biondini, modenese che oggi vive a Trun e che per lungo tempo è stata la governante del pittore Alois Carigiet. «Mi diceva “non ti piacerà, la casa è piccola, non ci sono comodità”. Poi sono arrivata ed ho trovato una casetta tutta di legno. Mi sembrava la casetta di Biancaneve, ero felicissima. Non c’era l’elettricità e la stufa non scaldava mica poi tanto, ma chi aveva bisogno della stufa?»

Il folto pubblico che è accorso per la prima proiezione del film sorride a questa battuta della signora Biondini, e si commuove quando racconta di come abbia riportato in Italia le ceneri del marito per spargerle sul prato che li ha visti fidanzati. «Mi ha spiegato tutto prima di morire, mi ha detto “ti aspetto” e i miei figli dovranno fare la stessa cosa con me quando morirò».

Non c’è patetismo nel pur semplice filmato, c’è solo calore umano e voglia di raccontarsi ed è questo che il pubblico sembra apprezzare. «In fondo per queste persone era come andare dal dentista, avevano un appuntamento e noi solo due giorni per le riprese», racconta a swissinfo Francesca Cangemi che ha realizzato il film insieme a Daniel von Aarburg. «Eppure dopo un po’ si sono sciolte e hanno dimenticato la telecamera».

L’elogio del Kirschstängeli

Cecilia Primoceri, che da Lecce è emigrata a Coira, ormai è in pensione. Ma non può fare a meno di ricordare con passione i tempi passati come operaia nella fabbrica di cioccolato della Lindt & Sprüngli. «Per un certo periodo ho lavorato alla macchina dei Kirschstängeli – bastoncini di cioccolato ripieni di liquore alla ciliegia – come mi piacevano a me i Kirschstängeli, oh, la Svizzera avrà tanti difetti, ma il cioccolato…»

… il cioccolato l’ ha aiutata a crescere i figli. «La Svizzera mi ha dato tutto, soprattutto la felicità dei miei bambini». Parole che si rispecchiano in quelle della madre di Francesca Cangemi: «La nostalgia della Sicilia c’è sempre, ma ormai la Svizzera è la nostra seconda patria. Ciò che ho fatto lo rifarei, soprattutto per il destino che ha dato ai miei figli».

Francesca Cangemi, laureata in biologia ed insegnante al liceo di Coira, capisce bene la portata delle parole di sua madre. «Ho delle cugine i cui genitori sono rientrati in Sicilia ed effettivamente loro non hanno avuto alternative al diventare donne di casa».

Svizzeri o italiani? Svizzeri e italiani

Quando si parla di rientrare in Italia sono le donne le più restie. «Il loro destino mi colpisce» commenta la Cangemi. «In fondo molte di loro non sono emigrate di propria volontà, ma per seguire il marito e ora proprio loro vogliono rimanere in Svizzera per i figli, per i nipoti, mentre gli uomini sarebbero più propensi a rientrare in Italia».

Ma anche rimanendo in Svizzera nessuno dimentica di essere italiano e nessuno dimentica, pur senza polemiche, le ingiustizie subite: dall’iniziativa Schwarzenbach per limitare il numero di stranieri nel paese all’occhio vigile e diffidente della polizia.

Insomma, le due identità convivono e non si escludono. Anzi, forse proprio l’essere l’una accanto all’altra ha contribuito a dar vita ad una maggiore presa di coscienza. «Può sembrare un paradosso, ma ho conosciuto l’Italia venendo in Svizzera» commenta don Dante, prete in Engadina. È in Svizzera che lui, proveniente dalla Lombardia è entrato in contatto con persone di altre regioni d’Italia.

E Pio Bucceri, che arrivò nella capitale grigionese in un giorno di neve dall’assolata Sicilia, e che in Svizzera conobbe la moglie bresciana dice di essere italiano nel cuore, ma in una poesia si lascia andare ad una dichiarazione d’amore per la città che lo ha accolto: «Per te sono straniero, ma lascia che dica: Coira, Dio ti benedica!»

swissinfo, Doris Lucini, Coira

Fatti e cifre

«Il lungo addio» è al Museo retico di Coira fino al 15 febbraio 2004
138 fotografie sull’immigrazione italiana in Svizzera dopo il 1945
La mostra fotografica è completata dal film «Si pensava di restare poco – 12 storie di emigrazione»

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In breve

Dopo Roma, «Il lungo addio», una mostra fotografica sull’emigrazione italiana in Svizzera, fa tappa al Museo retico di Coira. In seguito sarà a Zurigo (26 febbraio - 23 aprile 2004).

La tappa grigionese è arricchita dal film «Si pensava di restare poco», 12 storie di emigranti italiani nel cantone alpino.

Nonostante una certa semplicità di fondo, dovuta alle poche risorse finanziarie a disposizione, il film riesce a coinvolgere lo spettatore e a tracciare un convincente ritratto dell’emigrazione italiana.

Il racconto dei protagonisti è sincero e non scivola mai nel patetico anche se non tace i lati negativi della vita degli emigranti.

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