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Il nuovo governo libico e i rischi per l’Italia

tvsvizzera

di Dario Fabbri

Questo contenuto è stato pubblicato il 06 aprile 2016 - 15:02

L'insediamento a Tripoli del nuovo esecutivo di unità nazionale rappresenta l'esito cui ha lavorato alacremente la diplomazia italiana, mentre apre nuovi scenari per il paese maghrebino. Riuscito finalmente a sbarcare in patria, ora il primo ministro Fayez Serraj dovrà battersi per ottenere il reale controllo del territorio e delle istituzioni economiche. Soprattutto dovrà unirsi alle forze presenti sul terreno per affrontare la locale versione dello Stato Islamico e decidere di un formale intervento occidentale. Con rilevanti rischi per l'Italia e i suoi interessi.

L'effettiva nascita del governo di unità nazionale ha scongiurato la possibilità che, stufe di attendere, soprattutto Francia, Gran Bretagna ed Egitto muovessero alla guerra contro il califfato in assenza di una richiesta ufficiale da parte di Tripoli. Inoltre è stata così almeno rinviata la definitiva partizione del paese, scenario verso il quale sembra(va)no tendere l'Egitto e gli anglo-francesi. Un esito funzionale agli interessi di Roma che vorrebbe mantenere unita l'ex colonia e che non esulta alla possibilità di un conflitto su larga scala contro le postazioni dello Stato Islamico. Per l'Italia sarebbe piuttosto preferibile fornire tempo al premier Serraj, affinché pacifichi (parzialmente) la Libia e garantisca la sicurezza dei siti di estrazione degli idrocarburi. Posticipando sine die la guerra immaginata da partner ed avversari con l'obiettivo di aggiudicarsi manu militari le risorse libiche. Per questo il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, ha immediatamente confermato il sostegno italiano al nuovo interlocutore di Tripoli e l'invio di generi di prima necessità. Giacché, come ribadito dal premier Matteo Renzi, per ora l'Italia è disponibile soltanto ad addestrare le truppe locali e a partecipare alla difesa dei siti strategici (pozzi, raffinerie, sedi governative).

Tuttavia la situazione potrebbe presto farsi difficile. Nella regione orientale del paese è tuttora attivo l'Esercito nazionale libico guidato dal generale Khalifa Hifter, che puntellato da Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti non intende sciogliersi e punta di fatto alla conquista della Cirenaica e alla sconfitta di ogni forza islamista.

Dunque, dopo aver esteso la propria autorità alla Banca Centrale e alla Società Nazionale Petrolifera, Serraj potrebbe comunque richiedere un intervento militare esterno per cacciare lo Stato Islamico da Sirte. Una campagna cui parteciperebbero, per legittimarsi agli occhi dell'opinione pubblica occidentale e per corroborare le loro pretese, anche il generale Hifter e forse l'esercito egiziano. Mentre all'Italia sarebbe chiesto formalmente da britannici, francesi ed americani di porsi alla testa della coalizione, nella consapevolezza che Roma non avrebbe il peso geopolitico per gestire le ambizioni degli attori coinvolti.

Improvvisamente il governo italiano tornerebbe in grave difficoltà. Specie al cospetto dell'Egitto, con cui intrattiene al momento rapporti alquanto difficili e che dispone di un numero nettamente maggiore di uomini e mezzi blindati. Ne scaturirebbe una nuova guerra in terra libica. Con l'Italia nell'occhio del ciclone delle operazioni militari e degli sbarchi dei migranti che, spaventati dal conflitto e facilitati dalla buona stagione, potrebbero riprendere in massa. Rendendo plasticamente reali i timori di Roma.

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