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Franco forte, soffre anche l'industria delle armi

L'export di materiale bellico svizzero è diminuito nel 2015 del 20%, nonostante le maggiori autorizzazioni a equipaggiare eserciti stranieri

Questo contenuto è stato pubblicato il 23 febbraio 2016 - 22:11

Il franco forte penalizza anche l'industria svizzera delle armi, che ha particolarmente sofferto nel 2015. L'export di materiale bellico è diminuito di oltre il 20% rispetto all'anno precedente, nonostante la Segreteria di Stato dell'economia (SECO) abbia rilasciato alle aziende del settore molte più autorizzazioni a equipaggiare una settantina di eserciti stranieri.

Un simbolo dell'industria bellica svizzera come la Ruag, lo scorso anno, ha dovuto aumentare le ore di lavoro settimanali da 40 a 43. Nel 2015, infatti, gli incassi del settore sono crollati del 20% (circa 450 milioni). Colpa del franco forte. La Germania è rimasta l'acquirente principale, ma le commesse sono calate in tutta Europa.

Secondo la Segreteria di Stato dell'economia (SECO), ha pesato molto meno il blocco temporaneo alle esportazioni verso i paesi coinvolti nel conflitto yemenita, primo fra tutti l'Arabia Saudita, un grosso cliente. "Le autorizzazioni a equipaggiare questi paesi al momento sono bloccate", spiega Simon Plüss della SECO, "ma si tratta appunto solo di autorizzazioni. Gli effetti si sentiranno tra un anno o due."

Nel 2015, comunque, gli incassi in Arabia Saudita si sono dimezzati. Per la sinistra va bene così, anzi la moratoria sarebbe da estendere a tutto il Medio Oriente. "Sarebbe uno scandalo se le armi svizzere fossero impiegate in zone di guerra. Nota bene, in zone di guerra da cui provengono i rifugiati", dice il consigliere nazionale socialista Beat Jans. "Sarebbe contrario alla nostra neutralità e non sarebbe giustificabile dal punto di vista umanitario."

Tuttavia qualche settimana fa la Commissione della politica di sicurezza del Consiglio nazionale ha respinto la proposta: "L'UDC chiede parità di trattamento con gli altri paesi europei che esportano armi verso l'Arabia Saudita", spiega il deputato Thomas Aeschi. "Se le nostre imprese non possono farlo, molti posti di lavoro sono a rischio. E poi riforniamo anche la Francia che a sua volta è coinvolta nel conflitto in Siria."

La decisione ora è in mano al Consiglio federale e alla SECO, che nel 2015 ha rilasciato molte più autorizzazioni a esportare, anche in altri paesi controversi come Israele, Turchia e Pakistan.

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