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Crisi dei Rohingya, Suu Kyi non teme giudizi

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La leader birmana Aung San Suu Kyi non teme lo "scrutinio internazionale" su come il suo governo sta gestendo la crisi dei Rohingya. Lo ha dichiarato martedì la stessa premio Nobel per la pace sulle televisioni nazionali del Myanmar, in un discorso che presenta delle ambiguità che non placheranno le critiche.

Questo contenuto è stato pubblicato il 19 settembre 2017 - 13:15
tvsvizzera.it/ri con RSI (TG del 19.09.2017)

Non è intenzione del governo birmano attribuire colpe o evadere le proprie responsabilità, ha detto San Suu Kyi nel suo primo discorsoLink esterno da quando è iniziata l’emergenza umanitaria nello stato Rakhine, oltre tre settimane fa.

"Condanniamo tutte le violazioni dei diritti umani e la violenza contro la legge", ha aggiunto la leader, aspramente criticata dagli attivisti per i diritti umani per il suo silenzio sulla questione Rohingya.

"Siamo un Paese giovane e fragile con molti problemi, ma dobbiamo affrontarli tutti", ha detto ancora la leader birmana, che ha evocato la sofferenza dei profughi ma ha tenuto a precisare che la maggior parte dei Rohingya è rimasta in Myanmar.

San Suu Kyi ha anche parlato della creazione di impieghi e di strade, nonché dell'accesso all'istruzione indiscriminato nello stato Rakhine, e ha difeso l’operato dell’esercito.

"Le forze di sicurezza sono state incaricate […] di applicare tutte le restrizioni e le misure necessarie per evitare danni collaterali per non arrecare danno ai civili innocenti", ha dichiarato, anticipando che il suo Paese è pronto a organizzare il rientro dei rifugiati, senza tuttavia precisarne le modalità.

L’Onu: è un chiaro caso di pulizia etnica

I Rohingya sono una minoranza musulmana pesantemente discriminata in Myanmar. Da fine agosto, oltre 400 mila di essi sono fuggiti in Bangladesh in seguito agli scontri con le forze dell’ordine, alimentati anche da attacchi di ribelli a postazioni di polizia.

Le violenze dell’esercito birmano contro i Rohingya sono state descritte dall’OnuLink esterno come "chiaro caso di pulizia etnica", nonostante le smentite del governo di Aung San Suu Kyi.

Human Rights Watch: 214 villaggi distrutti

Sono almeno 214 i villaggi di Rohingya bruciati in Myanmar da fine agosto, secondo quanto denunciato martedì da Human Rights Watch.

L'organizzazione si è avvalsa di nuove immaginiLink esterno satellitari, scattate tre giorni fa, che documentano la distruzione di decine di migliaia di abitazioni nei distretti di Maungdaw e Rathedaung, nell’area dello stato Rakhine più vicina al confine con il Bangladesh.

Secondo diverse organizzazioni umanitarie, è da queste zone che vengono le oltre 400 mila persone rifugiatesi in Bangladesh.

Human Rights Watch esorta l'Assemblea generale dell'Onu ad approvare una risoluzione che condanni la condotta delle autorità birmane, che sarebbero responsabili di oltre mille morti da fine agosto.

Secondo le autorità di Rangoon, la controffensiva in corso nella zona aveva il solo scopo di liberare l'area da "terroristi", dopo gli attacchi coordinati che il 25 agosto hanno ucciso 12 membri delle forze di sicurezza. 

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