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Opinione

I danni della speculazione alimentare si vedono sul terreno

Le organizzazioni di aiuto allo sviluppo ritengono necessario approvare l’iniziativa «Contro la speculazione sulle derrate alimentari». In effetti, questa pratica potrebbe causare delle tragedie, denuncia Catherine Morand, responsabile per la stampa di SWISSAID.

Questo contenuto è stato pubblicato il 27 gennaio 2016 - 11:00

In numerosi paesi dell’Africa, dell’Asia e dell’America latina una parte importante della popolazione consacra la quasi totalità del proprio reddito per nutrirsi. Un aumento repentino dei prezzi delle derrate alimentari di base o la loro volatilità possono far scivolare settori interi della società, già al limite della sopravvivenza, nella fame e nella miseria.

Se SWISSAID, organizzazione svizzera per la cooperazione allo sviluppo, sostiene l’iniziativa dei giovani socialisti, è proprio perché constata sul terreno, nei paesi dov’è attiva, le conseguenze drammatiche generate dalla fluttuazione del prezzo del riso, del mais o del grano. Aumenti improvvisi possono causare delle rivolte, com’è accaduto a più riprese in passato, nel 2007-2008 e nel 2011, e come può accadere in ogni momento.

Banche e fondi pensione si buttano su riso e mais

Certo, la speculazione sulle materie prime agricole non è il solo fattore che contribuisce all’aumento dei prezzi. Siccità e altre catastrofi naturali, cattivi raccolti o ancora il boom dei biocarburanti hanno anch’essi un ruolo importante.

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Resta il fatto che numerosi studi, seri e ben documentati, realizzati da università, da esperti del settore, da istituzioni pubbliche e da organizzazioni internazionali attribuiscono alla speculazione finanziaria eccessiva una responsabilità nell’esplosione dei prezzi delle materie prime agricole e nella loro volatilità. “L’impatto della speculazione finanziaria sull’impennata dei prezzi alimentari è ormai ampiamente riconosciuto e questo fenomeno deve essere controllato al più presto”, ha affermato Olivier de Schutter, relatore speciale dell’ONU sul diritto all’alimentazione tra il 2008 e il 2011.

Responsabile della comunicazione di SWISSAID, Catherine Morand ha lavorato per diversi anni in Africa occidentale. Philippe Maeder

Per convincersi basta ricordare che lo spettacolare aumento dei prezzi dei generi alimentari di base nel 2007-2008 è avvenuto parallelamente all’assalto a mais, riso, soia e grano da parte di investitori alla ricerca di nuovi prodotti finanziari speculativi dopo il crollo del mercato immobiliare negli Stati Uniti. Investitori di nuovo genere – banche, casse pensioni, hedge fund – che hanno contribuito a moltiplicare i contratti sui mercati a termine delle materie prime agricole.

Gli investitori sono senza dubbio indispensabili al buon funzionamento dei mercati agricoli, ai quali offrono la liquidità necessaria. Ma ciò che è messo in discussione dall’iniziativa dei giovani socialisti non ha nulla a che fare con quella che viene definita la speculazione «utile». Si tratta piuttosto di mettere fine alla speculazione «nociva», vale a dire a «strumenti finanziari che concernono materie prime agricole e derrate alimentari», come pure alla «vendita dei relativi prodotti strutturati», come specificato chiaramente dal testo dell’iniziativa. I contratti a termine che «vertono sulla garanzia delle scadenze o dei prezzi per la consegna di determinate quantità» non sono toccati dall’iniziativa.

Regolamentare di nuovo un mercato impazzito

Questa iniziativa vuole dunque riportare un po’ di ordine, di regole e di buon senso nella deriva resa possibile da una eccessiva liberalizzazione. Una liberalizzazione che ha condotto a una finanziarizzazione estrema del mercato delle materie prime agricole e al suo corollario: l’esplosione dei prodotti derivati e la diffusione capillare del trading ad alta frequenza.

Questa ri-regolamentazione è del resto già in atto altrove. Nel gennaio del 2014 l’Unione Europea ha adottato una direttiva sui mercati di strumenti finanziari (MIFID), che impone ai mercati a termine limiti massimi sulla negoziazione di prodotti agricoli di base come i cereali, il mais e il riso, allo scopo appunto di frenare la speculazione sui generi alimentari e di evitare le conseguenze drammatiche di queste operazioni finanziarie, in particolare per le popolazioni più povere.

La Svizzera ha del resto già sentito che il vento sta girando e ha cominciato a porre qualche limite alla speculazione con la legge sull’infrastruttura dei mercati finanziari, adottata l’estate scorsa. Ora si tratta di andare oltre

Svizzera, prima piazza mondiale per il commercio di grano

Il fatto è che nel settore delle materie prime agricole, il nostro paese è una grande potenza e ha una particolare responsabilità. Come ama ripetere la STSA, la Swiss Trading and Shipping Association, l’area del lago Lemano è la prima piazza di commercio di grani al mondo. La regione situata tra Rolle e Ginevra ospita sedi importanti di giganti mondiali del commercio di materie prime agricole come Archer Daniels Midland, Bunge, Cargill e Louis Dreyfus, che dispongono di propri fondi speculativi dotati di miliardi di dollari.

L’organizzazione di aiuto allo sviluppo protestante Pane per tutti accusa del resto una dozzina di banche svizzere di essere particolarmente attive nella speculazione su prodotti agricoli di base. La più attiva tra queste banche è senza dubbio Credit Suisse.

Anche se gli avversari dell’iniziativa ripetono fino all’usura gli stessi argomenti e rifiutano di riconoscere il ruolo nefasto, anche se confermato, della speculazione cosiddetta nociva, brandendo studi dai risultati mutilati, il nostro paese farebbe bene ad andare avanti e conformarsi alle nuove direttive in voga a livello internazionale, senza attendere di farsi bacchettare le dita dall’UE o dagli Stati Uniti, com’è stato il caso per il segreto bancario. Senza aspettare nuove rivolte per il pane o scandali di grande portata che intaccherebbero la sua reputazione.

L’iniziativa «Stop alla speculazione», in votazione il 28 febbraio 2016, va proprio in questa direzione.

Le opinioni espresse in questo articolo sono quelle dell'autore e non riflettono necessariamente la posizione di swissinfo.ch.

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