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Parmalat: Stefano Tanzi alla sbarra in Svizzera

Stefano Tanzi, figlio del boss del latte Calisto Tanzi, a processo al Tribunale penale federale a Bellinzona Keystone

Truffa, amministrazione infedele e riciclaggio: questi i reati contestati a Stefano Tanzi, figlio dell'ex numero di Parmalat Calisto Tanzi, davanti al Tribunale penale federale (TPF) di Bellinzona.

Questo contenuto è stato pubblicato il 19 gennaio 2009 - 18:20

In Svizzera il fallimento del gruppo italiano Parmalat - considerato uno dei più grandi scandali finanziari italiani ed europei, con un buco di diversi miliardi di euro - rimane oggetto di inchieste vaste e complesse.

In fallimento alla fine del 2003, lo scandalo del gigante alimentare Parmalat ha già prodotto un primo importante verdetto: il 18 dicembre 2008 Calisto Tanzi, l'ex grand patron del gruppo, è stato condannato in primo grado a Milano a 10 anni di reclusione.

Da martedì, al Tribunale penale federale a Bellinzona, c'è Stefano Tanzi, il figlio di Calisto Tanzi, e un complice: devono rispondere dei reati di truffa, amministrazione infedele e riciclaggio. Il processo a Tanzi Junior è il primo procedimento che i procuratori federali hanno portato davanti a una corte. In totale il Ministero pubblico della Confederazione (MPC) indaga su 18 persone o aziende e ha disposto il blocco di valori per 20 milioni di franchi.

Una matassa intricata

Per cercare di dipanare il bandolo della matassa la Svizzera ha chiesto l'assistenza giudiziaria a diversi i paesi. Gli inquirenti hanno inoltre interrogato persone anche oltre oceano: sono così riusciti a ricostruire il percorso del denaro - giunto fino a un conto bancario aperto a Lugano - e a giungere alla conclusione che il milione e mezzo di dollari sia stato riciclato in Ticino.

Secondo l'atto di accusa stilato dal procuratore federale Gianluigi Pasi, Stefano Tanzi ha prelevato 1,7 milioni di dollari dai conti della Eliair, una società di trasporti controllata dal gruppo Parmalat. Il denaro sarebbe poi finito sul conto di una banca luganese.

L'episodio dibattuto a Bellinzona è piuttosto marginale rispetto all'intera matassa del filone svizzero dell'inchiesta, che l'MPC non ha ancora del tutto finito di sbrogliare. Nel comunicato diffuso il 15 aprile 2008, la Procura federale aveva infatti precisato che "in Svizzera il fallimento del gruppo Parmalat rimane oggetto di inchieste vaste e complesse".

Tra il 1998 e il 2004 grosse somme di denaro sarebbero transitate a nome di società off-shore o di persone fisiche attraverso conti bancari svizzeri o vi sarebbero state depositate. "In base alle nostre conoscenze – aveva sottolineato l'MPC - sono stati versati su conti aperti in Svizzera un centinaio di milioni di franchi".

UBS e Credit Suisse chiamate in causa

Il gruppo alimentare italiano - che accusava le due banche elvetiche di aver contribuito al suo crack finanziario nel 2003 - aveva chiesto al Credit Suisse 9,4 miliardi di euro di risarcimento danni e all'UBS 2,2 miliardi.

Pur negando ogni responsabilità, nel mese di giugno del 2008 i due istituti bancari hanno preferito trovare un'intesa extragiudiziale allo scopo di evitare lunghi e costosi procedimenti. Gli accordi transattivi prevedono la rinuncia da parte di Parmalat di tutte le azioni revocatorie e risarcitorie nei confronti di UBS e Credit Suisse.

Il CS ha sempre sostenuto di aver ignorato, al momento della conclusione degli affari, l'insolvenza di Parmalat. In base all'accordo la banca elvetica rimane definitivamente in possesso di 17 milioni di azioni Parmalat già assegnate. Da parte sua, l'UBS ha comunicato che con questo accordo la vicenda è definitivamente chiusa. Grazie ai fondi accantonati finora, l'intesa non avrà ripercussioni sui risultati di esercizio della grande banca svizzera nell'anno in corso.

Uno scandalo "stupefacente"

Il crack finanziario della Parmalat - scoppiato alla fine del 2003 e che ha costretto l'azienda a dichiarare bancarotta – è ritenuto uno dei più grandi scandali europei perpetrato da una società privata. Nel commentare la condanna del "boss del latte" Calisto Tanzi, il Financial Times ha evidenziato il grande paradosso.

"L'aspetto più stupefacente dello scandalo Parmalat – scrive il foglio anglosassone - è che un'azienda relativamente piccola dell'industria lattiera, poco appariscente e con bassi margini, sia riuscita ad accumulare un debito di 14 miliardi di euro senza che nessuno se ne accorgesse".

Ma è possibile "che un uomo solo, per quanto scaltro, abile, svelto, spregiudicato, abbia potuto creare un buco da quasi 14 miliardi di euro"? si chiede il quotidiano economico italiano Il Sole24 ore. Le tante domande senza risposta – almeno per ora – confermano la complessità dello scandalo Parmalat, con tutti suoi addentellati e le cosiddette figure minori, che hanno chiamato in causa anche gli inquirenti svizzeri.

Yogurt, succhi di frutta a tanti milioni

Il gruppo Parmalat conosce una rapida ascesa a partire dai primi anni Sessanta, dopo che Calisto Tanzi - oggi settantenne – aveva rilevato l'azienda familiare diretta dal padre e che all'epoca si occupava di salumi e conserve. Dalla metà degli anni Settanta, al latte si aggiungono lo yogurt e, all'inizio degli anni Ottanta, i succhi di frutta con il marchio Santal.

Nel Novanta il gruppo viene quotato in Borsa e spicca il volo sulla scena internazionale: 148 stabilimenti in 31 paesi con un fatturato realizzato per un terzo in Europa, per un terzo nel Nord e Centro America e il rimanente in Sud America e nel resto del mondo. Trentaseimila i dipendenti in cinque continenti.

Un grande impero che splende di luce propria all'inizio del Terzo Millennio, ma che soltanto tre anni dopo comincia mostrare le prime ombre, con l'avvio dello scandalo finanziario. E ben presto i tempi in cui sull' impero economico-alimentare di Calisto Tanzi non tramontava mai il sole, si sono progressivamente offuscati con lo spegnersi anche del più piccolo raggio di sole.

swissinfo, Françoise Gehring, Bellinzona

Le inchieste svizzere

Dal mese di gennaio 2004, il MPC indaga in Svizzera, in stretta collaborazione con la PGF e le autorità italiane, per sospetto di riciclaggio di denaro, ai sensi dell'articolo 305bis del Codice Penale, in relazione al caso Parmalat.

Le indagini del MPC interessano essenzialmente quattro cittadini italiani e sono state avviate anche in seguito a segnalazioni inoltrate da intermediari finanziari all'Ufficio di comunicazione in materia di riciclaggio di denaro (MROS) dell'Ufficio federale di polizia. I conti bancari aperti in Svizzera sono quindi stati bloccati.

Recentemente Berna, che sta indagando su circa 100 milioni di franchi di transazioni sospette, ha fatto arrestare in Slovenia Luca Sala, ex consulente del gruppo italiano.

Dopo il fallimento di Parmalat, il pubblico ministero della Confederazione (MPC) aveva aperto due inchieste. Due persone sono sotto accusa per truffa e riciclaggio.

Nella Confederazione sono stati sequestrati beni e immobili per un valore di 7 milioni di franchi.

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