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Ricercatori svizzeri in prima fila nella lotta contro il coronavirus

Tre virus Covid-19 (in giallo) mentre penetrano in una cellula, visti al microscopio elettronico. Keystone / Niaid- Rml/national Institutes O


Questo contenuto è stato pubblicato il 03 marzo 2020 - 14:39
Marc-André Miserez, con SRF e RTS

Anche ricercatori svizzeri partecipano agli sforzi internazionali per trovare dei rimedi contro il Covid-19: tra gli altri il premio Nobel Jacques Dubochet, che ha dato un contributo essenziale alle tecniche di microscopia elettronica, e dell'università di Berna, che ha realizzato un clone digitale del virus.

In un solo mese, ricercatori dell'università del Texas hanno identificato una proteina chiave del virus che imperversa ormai in tutto il mondo. I risultati, pubblicati nella rivista ScienceLink esterno, sono stati ottenuti grazie ai lavori di Jacques Dubochet.

È la prima volta che la crio-microscopia elettronica - la tecnica che il ricercatore del canton Vaud ha sviluppato insieme ai suoi colleghi Joachim Frank e Richard Henderson e che gli è valsa il premio Nobel per la chimica nel 2017 - ottiene risultati così spettacolari.

Tecnica rivoluzionaria

Come funziona? Contrariamente al microscopio ottico classico, la microscopia elettronica non esamina i campioni usando un fascio di luce, ma bombardando l'oggetto con un fascio di elettroni. In questo modo è possibile ottenere un maggiore ingrandimento e immagini più precise.

Il problema, se si osserva della materia organica, è che il campione dev'essere disidratato, colorato o esposto ai raggi X. Ma queste tecniche lo alterano, impedendo di osservarlo nel suo stato naturale.

È qui che interviene la crio-microscopia, che consiste nel congelare il campione. Ma non in una maniera qualsiasi: occorre evitare che l'acqua che contiene formi cristalli di ghiaccio, danneggiando la materia organica. Per questo si usa l'etano liquido, che permette di raffreddare rapidamente il campione a una temperatura di -160°C, in modo da fissarlo in un ghiaccio amorfo, vale a dire non cristallino.

​​​​​​​Proteina attaccata al virus

È dunque questa la tecnica che ha permesso ai ricercatori texani di creare un'immagine tridimensionale di una proteina che si trova sulla superficie del virus. È una proteina chiave, perché permette al virus di entrare nelle cellule dei polmoni, infettandole.

Conoscere la forma di questa proteina è cruciale per capire come prendere di mira il virus e trovare un vaccino, ha spiegato alla radiotelevisione svizzera di lingua francese RTS Jason McLellan, professore di bioscienze molecolari e autore principale dello studio. Se fosse possibile trovare una sostanza che disattiva questa proteina, il virus non potrebbe più propagarsi.

Un clone digitale a Berna

Un altro progresso spettacolare è stato raggiunto in Svizzera: un gruppo di ricercatori dell'istituto di virologia e immunologia dell'università di Berna è riuscito a creare un clone digitale del virus.

Da tre settimane, i ricercatori lavorano in un laboratorio di massima sicurezza, dove non si può passare una porta, in un senso o nell'altro, senza essersi lavati a fondo ed aver cambiato più volte i vestiti. Qui si lavora su campioni vivi del virus Covid-19.

In qualche giorno, Volker Thiel e i suoi collaboratori sono riusciti a produrne una versione informatica, naturalmente inoffensiva, ma molto istruttiva. "Possiamo indurre dei mutamenti mirati, per esempio levare un gene, per capire se il virus si riproduce meno bene. Saremo in grado di conoscere l'importanza di un gene o dell'altro per la sua diffusione", ha spiegato il virologo alla radiotelevisione svizzera di lingua tedesca SRF.

Il clone suscita grande interesse nei laboratori del mondo intero, che vogliono servirsene per le loro ricerche. "Sarà molto utile, perché di fatto non sappiamo ancora molto sul virus e ogni passo avanti nella conoscenza sarà d'aiuto per lo sviluppo di un vaccino o di altri medicinali", si rallegra Christian Griot, direttore dell'istituto bernese.

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