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Infiltrazioni mafiose in Ticino, come combatterle?

Gli inquirenti criticano le norme elvetiche ritenute inefficaci nella lotta alle organizzazioni criminali

Questo contenuto è stato pubblicato il 26 gennaio 2015 - 20:11

Sono note le infiltrazione mafiose nel Nord Italia e nelle scorse settimane inchieste condotte dalla Procura di Milano hanno portato all'arresto del presunto cassiere di una cosca della ‘Ndrangheta in Ticino. Viveva da due anni a Vacallo e gestiva una società finanziaria. Altri episodi hanno rivelato la presenza di collegamenti con la malavita, soprattutto nell'ambito del riciclaggio, che recenti modifiche legislative hanno reso più difficile. Segnali che comunque hanno riaperto il dibattito sull'idoneità degli strumenti a disposizione degli inquirenti svizzeri di fronte alla contaminazione di aziende edili o finanziare da parte di affiliati a cosche malavitose.

In particolare la procura federale ha sollevato il problema dell'efficacia delle norme svizzere. A 20 anni dall'introduzione del reato di organizzazione criminale, il famoso articolo 260 ter, sono molti i magistrati che lo ritengono impossibile da applicare, come dimostrano le numerosissime assoluzioni di imputati accusati di appartenere a un'associazione mafiosa.

Su questo argomento il parlamentare ticinese a Berna Giovanni Merlini (PLR) aveva inoltrato un'interpellanza al Consiglio federale, chiedendo sanzioni analoghe per questo reato analoghe a quelle vigenti nei paesi vicini, ottenendo una risposta forse troppo rassicurante. Al Consiglio di Stati è comunque in corso l'esame di un'iniziativa finalizzata a rendere meno gravosi i requisiti per l'applicazione della norma contestata.

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