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Sigarette, quelle esportate in Africa sono più tossiche

Un'inchiesta pubblicata dalla ong Public Eye rivela che le sigarette esportate dalla Svizzera verso i paesi africani - dove il consumo di tabacco è in aumento, specie tra i giovani - contengono più nicotina e monossido di carbonio di quelle destinate al mercato interno o europeo. Philip Morris: "i nostri prodotti rispondono alle preferenze dei consumatori adulti".

Questo contenuto è stato pubblicato il 23 gennaio 2019 - 08:26
tvsvizzera.it/ri con RSI (TG del 22.01.2019)
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Philip Morris, American British Tobacco, Japan Tobacco international: sono tutte multinazionali con giro d'affari miliardario e sede nella Confederazione, che esporta sigarette per un fatturato analogo a quello del cioccolato.

Secondo le analisi effettuate su 30 pacchetti provenienti dal Marocco, i valori di nicotina e monossido di carbonio superano quelli delle 'bionde' vendute in Francia e Svizzera o non corrispondono a quelli dichiarati sulla confezione.

L'autrice dell'inchiestaLink esterno, la giornalista indipendente Marie Maurisse, accusa i colossi del tabacco di attuare una strategia.

"L'Africa è un bacino vivente di futuri fumatori. È il continente dove il mercato esploderà da qui al 2025 secondo l'OMS. Sarà la zona del mondo dove si fumerà di più. Ed è per questo che per i produttori è fondamentale conquistare fumatori sin dalla più giovane età in questi paesi".

Maurisse cita l'esempio del Congo, dove in meno di 10 anni si è passati dal 13 al 43% di fumatori, molti dei quali risultano avere meno di 15 anni.

Interpellata dalla Radiotelevisione svizzera, Philip Morris, respinge le accuse. "Tutti i nostri prodotti sono creati per rispondere alle preferenze dei consumatori adulti e i loro gusti nei diversi paesi, tenendo conto delle regole applicate in questi paesi."

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