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Il lavoro nero tocca anche la Svizzera

Un ispettore del mercato del lavoro controlla un seminterrato alla ricerca di un dipendente illegale in un ristorante. FAIR & UGLY

Le apparenze ingannano: il lavoro nero esiste anche in Svizzera. Dumping salariale, ore supplementari, attività professionali non autorizzate. Tante persone, tra cui molte provenienti dall’estero, sgobbano per un salario da fame e in pessime condizioni. Un film del regista Ulrich Grossenbacher punta i riflettori su questo lato oscuro del mercato del lavoro svizzero.

Questo contenuto è stato pubblicato il 17 maggio 2022 - 11:18

“Quanti ne hai?”. “Me ne manca uno, un tamil. È scappato”. Due ispettori del lavoro controllano un ristorante in Svizzera. Uno scende in cantina munito di una piccola torcia elettrica alla ricerca di chi se l’è data a gambe. Il fascio di luce illumina una stanza. È vuota. In un’altra stanza scopre una bisca. Nella terza scova il fuggiasco. “Buongiorno. Venga con me! Stia tranquillo”. Nonostante le rassicurazioni, l’uomo proveniente dallo Sri Lanka viene preso in consegna dalla polizia poiché soggiorna illegalmente in Svizzera. È il racconto di una scena del film “Schwarzarbeit” (lavoro nero, ndt.) del regista Ulrich Grossenbacher.

Per realizzare il documentario ha accompagnato dozzine di ispezioni nel Canton Berna e ha filmato per un totale di 68 giorni. Alla fine, il regista si è ritrovato con 300 ore di riprese che, a volte, testimoniano condizioni di lavoro raccapriccianti. Ad esempio, Grossenbacher ha incontrato un venditore di prodotti alimentari obbligato a lavorare sette giorni su sette o un’assistente di cura che si occupava della persona degente 24 ore al giorno, senza un attimo di pausa. La rivista specializzata “Film Bulletin” scrive che il documentario sfata l’opinione comune secondo cui il lavoro nero in Svizzera non esiste, un problema con cui le svizzere e gli svizzeri credono di non essere confrontati.

Mondo del lavoro globalizzato

“Ciò che mi ha maggiormente sorpreso è la globalizzazione del mercato del lavoro”, dice Grossenbacher. La maggior parte delle vittime dello sfruttamento sono persone che provengono dall’estero, alcune sono impiegate in saloni di bellezza, ristoranti, cantieri o in un parco eolico.

Stando all’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), la percentuale di personale straniero in Svizzera è del 27,4 per cento, un tasso molto più alto che in altri Paesi europei quali Francia (6,9%), Germania (12,7%) o nel Regno Unito (11,3%).

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La Svizzera è una meta ambita perché, rispetto ad altri Stati, ha stipendi molto alti. Nella classifica dei salari minimi stilata dall’OIL e comprendente 133 Stati, la Confederazione si trova in testa con i suoi 3800 dollari al mese, più del doppio di quanto si guadagna in Germania (1743 dollari) o in Francia (1702 dollari). In alcuni Paesi dell’Europa dell’Est, come la Bulgaria (321 dollari) o la Romania (491 dollari), le buste paga sono da sette a otto volte minori. Il costo della vita in Svizzera è sicuramente più alto, ma le paghe permettono alle lavoratrici e ai lavoratori stranieri di inviare del denaro ai familiari in patria.

L’elevato tasso di personale straniero nella Confederazione evidenzia il fatto che anche per i datori di lavoro è interessante impiegare dipendenti provenienti dall’estero. Ciò può promuovere il dumping salariale, mettendo sotto pressione le lavoratrici e i lavoratori indigeni.

Ostacolo nelle relazioni con l’UE

Per questo motivo, nel 2004, dopo l’entrata in vigore nel 2002 dell’Accordo sulla libera circolazione delle persone tra la Svizzera e l’UE, sono state introdotte delle misure di accompagnamento. L’obiettivo è di garantire alle straniere e agli stranieri che lavorano in Svizzera le stesse condizioni salariali della popolazione indigena.

Misure d'accompagnamento

Per proteggere i lavoratori dal fenomeno del dumping salariale, incompatibile con le condizioni salariali e lavorative svizzere, sono state introdotte il 1° luglio 2004 le cosiddette misure collaterali [o d'accompagnamento]. Esse intendono garantire, tra l’altro, condizioni di concorrenza identiche per imprese sia svizzere sia estere.  

Queste misure comprendono sostanzialmente le seguenti regole:

- la legge federale sui lavoratori distaccati in Svizzera obbliga i datori di lavoro stranieri che distaccano lavoratori in Svizzera a rispettare le condizioni di lavoro e salariali minime vigenti nel nostro Paese;

- se vengono ripetutamente e abusivamente offerti salari inferiori a quelli usuali, le disposizioni di un contratto collettivo di lavoro in materia di salari minimi, orari di lavoro, controlli paritetici e sanzioni possono essere più facilmente dichiarate di obbligatorietà generale. Ciò significa che da quel momento tutte le aziende del settore devono rispettare le disposizioni del contratto collettivo di lavoro divenuto di obbligatorietà generale in via agevolata;

- nei settori senza un contratto collettivo di lavoro possono essere stipulati, in caso di ripetuti dumping salariali, contratti normali di lavoro che stabiliscano salari minimi vincolanti. Da quel momento tutte le aziende del settore devono rispettarli.

(Fonte: SECO)

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L’Unione sindacale svizzera scrive in un rapporto che “le misure di accompagnamento sono uno strumento molto efficace contro il dumping salariale e sociale, com’è stato chiaramente dimostrato negli ultimi anni”.

Nello stesso tempo, le misure di accompagnamento sono state una delle cause delle difficili relazioni tra la Svizzera e l’Unione europea. Durante le riprese del film “Schwarzarbeit”, in Consiglio nazionale è stata discussa una mozione parlamentare che chiedeva al Consiglio federale di vincolare la protezione salariale al livello attuale e di promuoverla ulteriormente. Nonostante il parere contrario del governo, la Camera del popolo ha approvato la proposta a stragrande maggioranza.

Il regista Urlich Grossenbacher swissinfo.ch

Grossenbacher ricorda che questa votazione è stato un “punto di svolta” nelle trattative con Bruxelles, una decisione che ha fatto pendere l’ago della bilancia verso l’abbandono del tavolo delle trattative nel maggio 2021 da parte del governo elvetico. “La richiesta dell’UE non è però cambiata secondo cui la protezione salariale è discriminatoria”, spiega Grossenbacher.

Piccola economia sommersa?

Il documentario fa emergere un problema che tocca anche la Svizzera. Tuttavia, rispetto ad altri Stati, il lavoro nero è meno presente da noi. Stando a uno studio di Friedrich Schneider, professore presso l’Università di Linz, in Austria, l’economia sommersa della Svizzera, ossia quelle attività economiche che sfuggono all’osservazione statistica, rappresenta meno del 6 per cento del Prodotto interno lordo (PIL), il tasso più basso tra i 36 Paesi esaminati.

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Stando a Friedrich Schneider, questa bassa percentuale si spiega con il fatto che rispetto ad altri Stati europei in Svizzera il tasso fiscale è particolarmente basso e le disposizioni di legge non sono così dettagliate. Inoltre, indica che il sistema politico ha un ruolo importante nella lotta al lavoro nero. “Il federalismo e la democrazia diretta danno la possibilità all’elettorato o a chi paga le imposte di influenzare le uscite statali e il tasso d’imposizione fiscale. Ciò scoraggia il lavoro nero in maniera maggiore che in Austria o Germania”, spiega Schneider.

Il regista evidenzia infine che la Svizzera dispone di un’ottima sicurezza sociale che “garantisce un’ampia protezione alla popolazione” mediante, ad esempio, la previdenza per la vecchiaia, l’assicurazione contro la disoccupazione o gli infortuni.

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