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Il ritorno tra le Alpi di un uccello diventato un fantasma

Il più grande uccello dell’arco alpino, il gipeto barbuto era stato sterminato nel XIX° secolo in molti paesi. Dagli anni ’80 questo avvoltoio viene reintrodotto in Svizzera, Italia, Francia e Austria, ma rimane una specie vulnerabile. 

Questo contenuto è stato pubblicato il 20 gennaio 2018 - 17:00

Oggi nell’arco alpino vi sono circa 200 gipeti barbuti, di cui una dozzina di coppie di riproduttori in Svizzera. Questa specie era completamente scomparsa alla fine del XIX° secolo: i gipeti sono stati deliberatamente decimati e infine sterminati per ignoranza e per ragioni di concorrenza, ricorda l’Istituto ornitologico svizzero. 

Ai tempi si pensava che questi volatili, con un’apertura alare di 2,5 – 2,8 metri, fossero dei grandi predatori, capaci addirittura di portar via agnelli e altri animali domestici di piccola taglia. Venivano perfino chiamati “avvoltoi degli agnelli”. 

In realtà, i gipeti si nutrono delle carcasse, in particolare delle ossa e del midollo osseo, di ungulati selvatici, come camosci o stambecchi, come pure di animali da allevamento, come bovini o ovini, abbandonati morti al pascolo. 

“È fantastico osservarli perché sono molto curiosi - a volte volano da cinque a dieci metri sopra la testa!”, dichiara Raphaël Arlettaz, responsabile della biologia della conservazione presso l'Università di Berna e appassionato di gipeti barbuti. “Bisogna immaginarsi un uccello con un'apertura alare di quasi tre metri che vola a così poca distanza. Penso che ogni svizzero dovrebbe viverlo una volta nella sua vita, e non dimenticherà mai che cos' è un gipeto barbuto”. 

(Video: SRF/swissinfo. ch/jh)

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