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L'acqua 'virtuale' che la Svizzera consuma all'estero

Acqua potabile a portata di mano: un 'lusso' che due miliardi di persone nel mondo non possono permettersi. © Keystone / Eq Images / Manu Friederich

Il consumo d'acqua pro capite della Svizzera è di poco superiore alla media mondiale. Il problema è che gran parte dell'impronta idrica svizzera si trova all'estero, soprattutto in paesi dove l'acqua scarseggia.

Questo contenuto è stato pubblicato il 22 marzo 2019 - 08:07

Circa quattro miliardi di persone, ovvero quasi i due terzi della popolazione mondiale, sono soggetti a scarsità d'acqua almeno per un mese all'anno. E nel 2015, tre persone su dieci nel mondo non avevano accesso all'acqua potabile.

Le cifre sono contenute in un rapportoLink esterno delle Nazioni Unite presentato mercoledì a Ginevra in vista della Giornata mondiale dell'acquaLink esterno (22 marzo), che quest'anno esplora i sintomi di esclusione e indaga i modi per superare le disuguaglianze.

160 litri di acqua per una tazza di caffè

La Svizzera, nota anche come il 'castello d'acqua d'EuropaLink esterno', dispone di abbondanti risorse idriche. Ciononostante, non è immune dai problemi globali legati alla gestione dell'acqua.

Dai dati delle Nazioni Unite risulta che una persona in Svizzera consuma mediamente 4'200 litri di acqua al giorno. L'impronta idrica tiene conto sia dell'utilizzo diretto dell'acqua - ad esempio per cucinare, lavare e pulire - sia di quello indiretto, ovvero l'acqua 'virtuale' necessaria per la produzione di beni agricoli e industriali.

Nel caso del caffè, ad esempio, ci vogliono 160 litri d'acqua per produrre una sola tazza, spiegaLink esterno Emmanuel Reynard, professore di geografia e sostenibilità all'Università di Losanna.

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Benessere svizzero grazie alle risorse idriche di altri paesi

Sebbene il consumo di acqua pro capite in Svizzera sia in linea con la media mondiale, l'analisi dell'impronta idrica del paese evidenzia una particolarità: gran parte dell'acqua consumata dagli svizzeri è in realtà utilizzata all'estero.

L'82% dell'impronta idrica svizzera è infatti riconducibile ai beni e ai servizi importati. A titolo di paragone, la quota è del 20% per gli Stati Uniti e del 60% per l'Italia, puntualizza la Fondazione Barilla Center for Food & NutritionLink esterno.

Il fatto che la percentuale per la Svizzera sia così elevata è "problematico", commenta a swissinfo.ch Sophie Nguyen Khoa ManLink esterno, esperta di sicurezza idrica presso l'organizzazione di aiuto allo sviluppo Helvetas. "La maggior parte dei beni e dei servizi importati provengono da paesi in via di sviluppo dove le risorse idriche non sono sempre accessibili in quantità e/o qualità sufficiente per soddisfare i bisogni del paese produttore".

Anche in un rapportoLink esterno del 2012 realizzato dal WWF, dall'agenzia svizzera per la cooperazione (DSC) e da alcune università, si evidenziava che "la Svizzera deve il proprio benessere alle risorse idriche di altri paesi (…) spesso in zone della Terra in cui l'acqua è molto scarsa". Tra queste ci sono l'Etiopia, il Sudan, il Kenya, l'India, l'Afghanistan e il Pakistan.

Acqua 'invisibile' a tavola

Un menù vegetariano dimezza l'impronta idrica individuale, sostiene la Fondazione Barilla Center For Food & Nutrition, che in occasione della Giornata mondiale dell'acqua attira l'attenzione sull'acqua 'invisibile' utilizzata nella produzione alimentare.

Ad esempio, ci vogliono 19'525 litri di acqua per produrre un chilo di manzo, 7'485 litri per la carne di maiale e 4'805 litri per il pollame. La quantità scende a 1'710 litri per un chilo di pasta e a 335 litri per la verdura di stagione.

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Ridurre l'impronta idrica

Secondo la specialista di Helvetas, la Svizzera può svolgere un ruolo "determinante" nella riduzione dell'impronta idrica sostenendo i paesi produttori, in particolare attraverso dei programmi per una gestione sostenibile dell'acqua.

Tra questi: l'adozione di metodi che diminuiscono il consumo di acqua nella produzione di beni agricoli, la riduzione dell'inquinamento dell'acqua durante i procedimenti industriali e la promozione di piatteforme di dialogo e scambio affinché la gestione dell'acqua sia più efficace ed equa.

Dal canto suo, Emmanuel Reynard ritiene che si potrebbe sensibilizzare maggiormente il consumatore. Ad esempio, con dei marchi che indicano i prodotti dall'impronta idrica minore.

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