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Sanzioni antirusse, il vero bersaglio è Trump

Limes

Con l’annuncio da parte di Obama di nuove sanzioni ai danni dell’intelligence e della diplomazia russe è ufficialmente conflagrata la guerra tra Donald Trump e lo Stato profondo americano. Teoricamente pensate per punire l’interferenza degli hacker di Mosca nelle ultime elezioni, le misure adottate giovedì sono piuttosto un avvertimento lanciato dagli apparati statunitensi nei confronti del presidente eletto e della sua volontà di dialogare con il Cremlino.

Questo contenuto è stato pubblicato il 30 dicembre 2016 - 16:55
Dario Fabbri, Limes

Agli inizi di dicembre la Cia, con il sofferto sostegno dell’Fbi, ha stabilito che nei mesi precedenti hacker russi avrebbero manomesso il server del comitato nazionale del partito democratico, nonché la casella di posta elettronica appartenente a John Podesta, responsabile della campagna elettorale di Hillary Clinton. Obiettivo dei pirati informatici sarebbe stato volgere la contesa elettorale in favore di Trump, smascherando le beghe interne al fronte dell’ex first lady.

Come rappresaglia, Obama ha deciso giovedì l’espulsione dal territorio statunitense di 35 diplomatici russi, accusati d’essere agenti dei servizi segreti di Mosca; nuove sanzioni che colpiscono entità e soggetti afferenti al Gru e all’Fsb, le principali unità di intelligence della Federazione russa; e la chiusura di due residenze in Maryland e nello Stato di New York appartenenti al Cremlino.

A prima vista si tratta di punizioni indirizzate soltanto contro Putin. In realtà bersaglio dell’offensiva è soprattutto Trump, come dimostrato dalla natura assai blanda dei provvedimenti in questione. A voler lanciare un chiaro segnale - usando Obama come semplice strumento della propria azione – sono stati gli apparati statunitensi, contrari alla distensione con Mosca promessa dal futuro presidente durante l’ultima campagna elettorale.

Il magnate newyorkese si propone di rilanciare il rapporto con la Russia per arruolare l’(ex) nemico in funzione anti-cinese e nell’ambito della guerra contro il terrorismo islamico. In tal senso vanno interpretate le recenti nomine realizzate da Trump di ministri apertamente simpatetici nei confronti del Cremlino.

Ma Cia, dipartimento di Stato, Pentagono considerano la Russia un antagonista strategico e non hanno alcuna intenzione di abbandonare il contenimento del rivale, che perseguono da decenni, indipendentemente dalla volontà del presidente eletto.

Ne è perfettamente consapevole Trump che in questi giorni si è scagliato proprio contro la Cia, dicendosi sospettoso di coloro che «avevano sostenuto la presenza di armi di distruzione di massa nell’Iraq di Saddam Hussein», e affermando d’essere pronto a discutere di quanto capitato proprio con i vertici dell’intelligence statunitense. Anziché parlarne con Obama, ovvero con colui che apparentemente ha voluto applicare a Mosca le ultime misure punitive.

Presagi di uno scontro interno all’amministrazione federale, che vedrà lo Stato profondo e il congresso schierati contro la Casa Bianca. E che caratterizzerà il prossimo mandato presidenziale.

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