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Un lunedì tranquillo al confine italo-svizzero

All'indomani dell'entrata in vigore in Italia del decreto che limita gli spostamenti da e per la Lombardia, al confine con la Svizzera è stato un lunedì non proprio come gli altri. La Radiotelevisione svizzera RSI riferisce di un traffico attenuato e di controlli aggiuntivi da parte elvetica, effettuati però nelle retrovie ed evitando eccessiva minuzia.

Questo contenuto è stato pubblicato il 09 marzo 2020 - 21:40
tvsvizzera.it/ri/mar con RSI (TG e Quotidiano del 09.03.2020)
Il permesso 'G' (frontalieri), il modo più semplice di certificare che si attraversa la frontiera per recarsi al lavoro. Keystone / Elia Bianchi

Se i valichi doganali erano meno trafficati del solito, è probabile che un maggior numero di aziende svizzere, rispetto alla scorsa settimana, abbia invitato i propri dipendenti frontalieri a rimanere a casa o stia sperimentando il telelavoro. Ma la differenza è dovuta anche ai mancati ingressi per acquisti, svago o studio, sospesiLink esterno con la collaborazione delle autorità elvetiche.

Le vie d'accesso al Canton Ticino sono pattugliate dalle guardie di confine, sostenute dalla polizia cantonale. Posti di blocco sono stati allestiti in punti dove confluiscono più strade percorse dai pendolari, senza però che ne scaturiscano lunghe code: gli agenti si limitano a chiedere conferma che conducente e passeggeri siano diretti al lavoro.

Il servizio del Quotidiano sul controllo alle frontiere:

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Nell'emergenza coronavirus, l'Italia è seconda soltanto alla Cina per numero di decessi (oltre 360). I contagi accertati sono ormai oltre 7'000 (incluse poco più di 600 guarigioni). Da domenica, un decreto governativo ha introdotto restrizioni negli spostamenti in tutta la Lombardia e altre 14 province, lasciando però ai lavoratori, frontalieri inclusi, la libertà di percorrere il tragitto casa-lavoro. Il governo svizzero, a sua volta, non ha ritenutoLink esterno di dover bloccare l'entrata ai lavoratori. 

Chi vive nelle zone non decretate arancioni può entrare senza restrizioni in Svizzera, anche per ragioni non lavorative. Il decreto del governo italiano stabilisce però che gli spostamenti in entrata e in uscita dalla Lombardia e dalle altre 14 province devono essere evitati, salvo per comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità. Chi quindi deve transitare dalla Lombardia per recarsi nella Confederazione deve poterne motivare le ragioni (alle autorità italiane).

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Il ministro della sanità svizzero Alain Berset ha da parte sua difeso lunedì la scelta di non chiudere le frontiere con l'Italia o vietare i trasporti pubblici transfrontalieri. In ogni caso, non a questo stadio. "Senza i frontalieri, il sistema sanitario ticinese non potrebbe funzionare normalmente", ha ribadito Berset, precisando che "il virus non si arresta alle frontiere".

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Modificate le regole di quarantena

Il numero di contagi continua intanto a progredire in Svizzera. Secondo l'ultimo bilancio dell'Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP), pubblicato lunedì a mezzogiorno, il numero di casi confermati si attesta a 312, mentre quelli positivi raggiungono quota 374. Domenica alla stessa ora i casi erano 332, vale a dire 42 in meno, fra cui 281 confermati (31 in meno).

L'UFSP ha inoltre deciso che non saranno più effettuati depistaggi sistematici. Le persone con sintomi lievi e nessun rischio particolare non saranno sottoposte a test.

Le quarantene saranno più brevi e colpiranno meno persone. Le persone infette dovranno rimanere in isolamento per un minimo di dieci giorni e solo i loro strettissimi contatti saranno messi in quarantena per almeno cinque giorni.

"Richiederebbe uno sforzo sproporzionato trovare e avvertire tutte le persone che sono state in contatto per più di 15 minuti entro due metri con un caso confermato", ha detto Virginie Masserey dell'UFSP all'agenzia Keystone-ATS. "Una misura del genere comporterebbe anche la quarantena di gran parte della popolazione", ha aggiunto. Le autorità sanitarie hanno quindi deciso di limitare il numero di persone in isolamento, per evitare di paralizzare il Paese.

Il parere del medico Christian Garzoni, specialista in malattie infettive e direttore sanitario della Clinica Moncucco di Lugano, sulle misure adottate e sulla decisione di non chiudere la frontiera:

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