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Concorrenza? Che parolaccia!

L'ad dimissionario di Alitalia Silvano Cassano ansa

Hypercorsivo di Massimo Donelli

Questo contenuto è stato pubblicato il 22 settembre 2015 - 09:22

L'Italia è un Paese fatto così: sappiamo tutto (o quasi) di Antonio CassanoLink esterno, talentuoso calciatore nativo di Bari VecchiaLink esterno, non sappiamo nulla (o quasi) di Silvano CassanoLink esterno, amministratore delegato di AlitaliaLink esterno (o meglio, ex amministratore delegato, giacché venerdì 18 settembre dopo un anno e dodici giorni dall'inizio del mandato, ha dato le dimissioniLink esterno).

Eppure le vicende di Silvano riguardano i cittadini molto più delle vicende di Antonio.

Specie l'ultima: la sua improvvisa uscita dalla cosiddetta compagnia di bandiera.

Che cosa è successo?

Mistero.

Una immediata letteraLink esterno ai dipendenti di Luca Cordero di MontezemoloLink esterno, presidente di Alitalia e, soprattutto, campione del mondo di pubbliche relazioni, ha avvolto nella nebbia più fitta questo coup de théâtreLink esterno tentando di minimizzarlo come un fatto di routine.

Missione compiuta.

I quotidiani, infatti, hanno relegato la notizia nelle pagine dell'economia, quasi fosse uno dei tanti giri di poltrone che caratterizzano la vita della business communityLink esterno.

Balle.

La vicenda pesa.

E puzza.

Eccome.

Intanto, puzza a cominciare dai conti.

Che, secondo la consolidata tradizione della ditta, vanno malissimo.

Sotto l'ombrello di EtihadLink esterno, infatti, Alitalia nei primi sei mesi del 2015 registra un buco di 130 milioni di euro.

Certo, una bella botta l'ha data l'incendio di FiumicinoLink esterno, le cui conseguenze si sono sentite (troppo) a lungo.

Ma c'è, ci deve essere, qualcosa di più dietro il rosso e le dimissioni di Cassano.

Vediamo…

Sconosciuto al popolo, come dicevamo, però ben noto nel mondo del management internazionale, Silvano è arrivato ai vertici dell'azienda chiamato da James HoganLink esterno, numero uno di Etihad.

I due erano stati colleghi in HertzLink esterno.

Stima reciproca, scelta convinta per entrambi.

Passa appena un anno e Silvano se ne va (l'avesse fatto Antonio, un gesto così, si sarebbe parlato di "cassanataLink esterno")

Perché?

Lo fa, scrive Montezemolo, "per ragioni personali".

Mmmmmm…

Vuoi vedere che la faccenda è un po' più complicata?

L'Alitalia ha sempre agito da monopolista.

E i monopoli, specie quelli pubblici, generano cattivi prodotti, cattivi servizi, cattivi bilanci.

Quando l'hanno faticosamente privatizzata fondendola con Airone e creando la CaiLink esterno (Compagnia aerea italiana) - una fusione non proprio limpida, in cui pochi hanno guadagnato moltissimo e lo Stato ha pagato il conto per tutti – la società ha continuato a perdere e a far infuriare i passeggeri con i suoi disservizi.

Poi sono arrivati gli emiri di Etihad: e vai con i brindisi alle magnifiche sorti e progressiveLink esterno!

Ma, in questo trambusto, sono successe un paio di cosette che, implacabilmente, hanno messo il re a nudo.

Prima di tutto, easyJetLink esterno, la compagnia low costLink esterno, è riuscita, conquistando cinque slotLink esterno, a rompere il monopolio Alitalia sulla rotta Milano Linate-Roma Fiumicino con tariffe stracciate (e conseguente obbligo, per l'ex monopolista, a un ritocco dei prezzi).

Poi è arrivata l'alta velocità ferroviaria di FrecciarossaLink esterno e ItaloLink esterno: meno di tre ore per andare in treno da Milano Centrale a Roma Termini (o Roma Tiburtina) che, tra non moltLink esternoo, diventeranno addirittura poco più di due (per essere precisi, due ore e venti minuti).

A quel punto, la faccenda si è fatta seria.

Molto seria.

Anzi, maledettamente seria.

Lo dicono i dati di Business Travel Survey 2015Link esterno, l'indagine di Uvet-American ExpressLink esterno "che mira a monitorare l'andamento del Business Travel in Italia attraverso l'analisi dei trend di spesa e dei comportamenti d'acquisto di un campione selezionato di aziende in determinati periodi".

Che cosa salta fuori dall'ultimo report?

Che, nel 2014, il 54% dei viaggi di lavoro tra Milano e Roma è stato fatto in treno. Un sorpasso clamoroso, impensabile fino a pochi anni fa. Direte: e i viaggi di piacere, invece? Peggio mi sento: sempre parlando di Milano-Roma, il 65% ha scelto la ferroviaLink esterno e solo il 24% l'aereo. Nel 2008 il 50% dei turisti per andare nella Capitale preferiva volare…

Una doppia, clamorosa sberla per Alitalia, che perde sia i viaggiatori d'affari che quelli comuni.

Ma come mai il treno batte l'aereo?

Questione di tariffe, certo.

Tanto che easyJet ha deciso di riconvertire su altre destinazioniLink esterno i cinque slot di Linate.

E, però, c'è di più.

Chi viaggia in BusinessLink esterno o addirittura in ExecutiveLink esterno sul Frecciarossa, infatti, paga un prezzo alto, che può arrivare fino a 200 euro per la sola andata. Ma sul treno è coccolato, accudito, viziato. Il nuovo Frecciarossa 1.000Link esterno, per esempio, ha in Executive una carrozza dove appena 10 passeggeri sono piazzati a distanza di un metro e mezzo l'uno dall'altra su poltrone larghe 74 centimetri che ruotano di 180 gradi in modo da potersi ritrovare sempre in direzione di marcia. E in Executive c'è anche una saletta meeting con un monitor da 32 pollici collegabile al computer.

Le loungeLink esterno Freccia Alata di Alitalia, al confronto, impallidiscono, capito?

Ora, per tornare a bomba, noi non sappiamo – né sapremo mai - se Silvano Cassano ha fatto disastri e l'hanno cacciato; oppure se ha capito che risollevare la compagnia è come scalare l'EverestLink esterno nudi in pieno inverno ed è scappato.

Ma di una cosa siamo certi: che Alitalia sta pagando – eccome - la concorrenza del treno ad alta velocità sulla rotta più pregiata di sempre.

E di una cosa siamo altrettanto certi: che se in Italia si creassero in tutti i settori condizioni tali da favorire la concorrenza, beh il Paese funzionerebbe meglio e i cittadini sarebbero più contenti.

Peccato, però, che in Italia concorrenza non sia una parola, ma una parolaccia.

Taxisti, farmacisti, industriali grandi e piccoli, banchieri…

Tutti hanno una paura blu della concorrenza.

E hanno anche molti amici fra i politici sempre pronti a mettere la sabbia in tutti gli ingranaggi legislativi che mirano ad allargare il mercato a nuovi competitor.

Pier Luigi BersaniLink esterno oggi passa per essere un gufoLink esterno perché tra lui e Matteo RenziLink esterno le opinioni divergonoLink esterno.

Nel 2006, quand'era ministro per lo Sviluppo Economico, firmò, assieme al collega Vincenzo ViscoLink esterno, Ministro delle Finanze, un decreto legge che doveva portare a liberalizzare una serie di settori chiave e che al titolo primo così proclamava: "Misure urgenti per lo sviluppo, la crescita e la promozione della concorrenza e della competitività, per la tutela dei consumatori e per la liberalizzazione di settori produttivi".

Subito dopo si mobilitarono le lobbyLink esterno: taglia di qui, emenda di là…

Come?

Volete sapere che fine ha fatto quel bellissimo decreto?

Ok: andate a frugare in Parlamento.

Il grosso lo troverete…in pattumiera…

Segui @massimodonelliLink esterno

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