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Carri armati 'italiani' dalla Svizzera all'Ucraina?

La Germania sta finanziando l'ammodernamento dei vecchi Leopard I e addestrerà al loro uso circa 9'000 militari ucraini. Keystone / Clemens Bilan

La Ruag ha presentato alla Segreteria di Stato dell'economia una richiesta ufficiale di esportazione per i 96 carri armati Leopard 1 acquistati all'Italia nel 2016 e tuttora stoccati nella Penisola.

Questo contenuto è stato pubblicato il 01 giugno 2023 - 10:42
tvsvizzera.it/mar con Keystone-ATS

L'azienda di armamento svizzera Ruag, di proprietà della Confederazione, vorrebbe vendere i tank alla tedesca Rheinmetall, che intende a sua volta consegnarli all'Ucraina.

A metà marzo, la ministra della difesa Viola Amherd aveva riferito al Parlamento che la Segreteria di Stato dell'economia (SECO) aveva respinto una richiesta preliminare di Ruag. La consigliera federale aveva in quell'occasione sottolineato che le attività del gruppo svizzero sono soggette al diritto sulla neutralità e quello riguardante il materiale bellico.

Il presidente della Confederazione, Alain Berset, interpellato giovedì a margine del vertice della comunità politica europea in Moldavia si è mostrato cauto su questa richiesta: "Dobbiamo discuterne in seno al Consiglio federale", ha dichiarato.

La "guerra della Russia in Ucraina è una violazione del diritto internazionale, ma non possiamo da un lato chiedere il rispetto delle regole internazionali" e dall'altro non rispettarle noi stessi, ha aggiunto Berset. Tuttavia, "questo non significa che nulla possa cambiare"

Presentando una richiesta ufficiale, Ruag spera di ottenere chiarimenti dalla SECO, ha spiegato giovedì la portavoce Kirsten Hammerich ai microfoni della radiotelevisione svizzero tedesca SRF. "Vorremmo avere una decisione ufficiale dalla SECO per poter valutare meglio le opzioni commerciali".

Acquistati nel 2016

Questi 96 carri armati hanno una lunga storia alle spalle. Fanno parte degli oltre 1'000 Leopard 1, risalenti agli anni '70, in dotazione all'esercito italiano. In parte ammodernati negli anni '90, sono poi stati tolti dal servizio negli anni successivi e parcheggiati in un deposito di Vercelli, come indicatoLink esterno dal quotidiano La Repubblica.

Nel 2016, Ruag aveva riacquistato i 96 Leopard 1 ormai non più operativi per 4,5 milioni di euro da Agenzia Industrie Difesa, controllata dal ministero della Difesa italiano. Il gruppo di armamenti intendeva rimetterli a nuovo o eventualmente utilizzarti per le parti di ricambio. Tra i potenziali acquirenti vi era il Brasile, ma poi le trattative sono naufragate e i carri armati sono rimasti in Italia. La guerra in Ucraina li ha ora fatti uscire dall'oblio.

Dall'inizio del conflitto, la questione della riesportazione del materiale bellico elvetico è al centro dell'agenda politica in Svizzera. Finora in virtù del diritto della neutralità il Governo ha sempre vietato a Paesi terzi di esportare questo materiale verso l'Ucraina. In particolare, ha fatto molto discutere il 'no' di Berna alla richiesta della Germania di inviare in Ucraina munizioni per il semovente Gepard prodotte nello stabilimento svizzero della Rheinmetall.

+ Gli aiuti militari all'Ucraina e il dilemma della neutralità elvetica, un'analisi.Link esterno

Situazione fluida

La situazione potrebbe però evolversi. Proprio oggi il Consiglio degli Stati dibatte su due atti parlamentari che propongono di modificare la Legge sul materiale bellico.

Una mozioneLink esterno presentata dal Centro – e sulla quale il Governo ha espresso parere contrario – chiede che vengano introdotte deroghe per la riesportazione di armamenti nel caso in cui l'Assemblea generale dell'ONU ha constatato "con una maggioranza di due terzi una violazione del divieto dell'uso della forza previsto dal diritto internazionale" (ciò che varrebbe nel caso dell'Ucraina) e qualora non siano in gioco "interessi preponderanti in materia di politica estera della Svizzera".

Un'iniziativa parlamentareLink esterno domanda invece che la dichiarazione di non riesportazione da parte dello Stato acquirente sia limitata a cinque anni. Dopo questo lasso di tempo, il trasferimento di materiale bellico sarebbe possibile anche verso un Paese coinvolto in un conflitto, a patto che quest'ultimo si stia avvalendo "del suo diritto all'autodifesa conformemente al diritto internazionale" e che "non violi in maniera grave i diritti umani".

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