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Caduta di Mosul, accusato l'ex premier al Maliki

Insieme a 35 esponenti governativi, sarebbe responsabile della presa della città da parte dell'Isis lo scorso anno; le conclusioni di una commissione parlamentare

Questo contenuto è stato pubblicato il 17 agosto 2015 - 14:31

L'ex premier iracheno al Maliki e altri 35 esponenti governativi sarebbero responsabili a vario titolo della caduta di Mosul nelle mani dei militanti dello Stato islamico, lo scorso anno. È la conclusione di un rapporto adottato domenica dal parlamento iracheno e inoltrato alla magistratura, che dovrà ora decidere un eventuale rinvio a giudizio.

Secondo il rapporto, la conquista di Mosul -seconda città dell'Iraq, caduta in poche ore nelle mani del Califfato nel giugno dello scorso anno- fu favorita dal ritiro dell'esercito, che nonostante la supremazia numerica sulle truppe degli estremisti, lasciò a questi ultimi campo libero.

Sarebbe stato al Maliki in persona a ordinare il ritiro dei soldati, alimentando le tensioni settarie all'interno del paese. L'esercito governativo sarebbe stato a maggioranza sciita, in un'area a prevalenza sunnita del paese; all'arrivo dei miliziani del Califfato -sunniti anch'essi- l'esercito si sarebbe dileguato, lasciando sul campo armi che gli estremisti impiegarono per avanzare.

Il rapporto potrebbe sfociare in un processo nei confronti di al Maliki e altri 35 esponenti del governo di allora. Sarà la Procura generale a decidere se rinviarli a giudizio.

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