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Re Giorgio e quel librettino piccino picciò

tvsvizzera

Hypercorsivo di Massimo Donelli

Questo contenuto è stato pubblicato il 08 aprile 2015 - 14:20

E' un librettino piccino picciòLink esterno di appena 90 pagine. Cattivo solo come i piccoli pestiferi sanno essere. Ma colto. Documentato. Intrigante.

Difficile, certo. Perché parla di CostituzioneLink esterno e la Costituzione non è mica un argomento leggero, da passatempo. Però, davvero un bel pamphletLink esterno. Che, statene certi, passerà del tutto inosservato.

L'Italia, infatti, funziona così: se vien fuori qualcosa di scomodo su un personaggio amato, riverito e, soprattutto, protetto dai giornali, beh semplicemente non se ne parla.

Silenzio assordante.

Fu così, molti anni fa, esattamente nel 1997, per un volume pubblicato da Editori RiunitiLink esterno, casa editrice storicamente considerata vicina al defunto Partito comunista italianoLink esterno.

Si intitolava Il processoLink esterno. Autori: Paolo GriseriLink esterno, giornalista de il manifestoLink esterno; Massimo NovelliLink esterno, de la RepubblicaLink esterno; e Marco TravaglioLink esterno, allora sconosciuto freelanceLink esterno con un passato a il GiornaleLink esterno e a La VoceLink esterno diretti da Indro MontanelliLink esterno.

Un saggio, Il processo. Documentatissimo e, per taluni aspetti, perfino divertente. Aveva, infatti, il respiro del grande romanzo: protagonisti e antagonisti, ricatti, retroscena, risse, denaro a fiumi.

Di che cosa parlava?

Di tangentiLink esterno e fondi neriLink esterno in casa FiatLink esterno ai tempi di Gianni AgnelliLink esterno e Cesare RomitiLink esterno. Ovvero quando la Fabbrica italiana automobili Torino era ancora la monarchia regnante, con un sovrano figo che più figo non si può e il fratello cadettoLink esterno, UmbertoLink esterno, considerato, suppergiù, al pari di

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(il libro racconta, nei dettagli, come e quanto venisse maltrattato dai pretoriani di corte)…

Morale: zero recensioni, buio assoluto.

Nessun suddito osò sfidare re Gianni e i suoi capatazLink esterno.

Bene. Napolitano, re nella repubblicaLink esterno, scritto da Paolo BecchiLink esterno e Daniele GranaraLink esterno, pubblicato da MimesisLink esterno, è destinato a subire lo stesso oblio de Il Processo.

A cominciare dall'imbarazzo che provoca il sottotitolo: "Per una messa in stato di accusa".

Boom!

E come si permettono due docenti universitari fra mille di puntare il dito contro re GiorgioLink esterno, Link esternobisLink esterno presidente della Repubblica, oggi senatore a vita, considerato una sorta di salvatore delle patria?

Becchi (che molti dicono stia al Movimento 5 stelleLink esterno di Beppe GrilloLink esterno come Gianfranco MiglioLink esterno stava alla Lega NordLink esterno di Umberto BossiLink esterno) e Granara (coltissimo costituzionalista) sono entrambi genovesi. E i genovesi, rompiballe, non le hanno mai mandate a dire, anzi.

Hanno intimorito i pirati ai tempi della Repubblica marinaraLink esterno. Hanno scacciato gli austriaci nel 1746 a colpi di pietreLink esterno. Hanno buttato giù un governo nel 1960Link esterno.

Figuratevi, perciò, se si fermano sulla soglia del Quirinale.

Così, Costituzione in una mano e atti ufficiali di Napolitano nell'altra, Becchi e Granara dimostrano, pedantemente (tutto documentatissimo) e pacatamente (fino a essere, in certi passaggi, soporiferi), come re Giorgio, muovendosi (per parafrasare il titolo) da monarca, abbia varcato i confini che la carta fondativa della Repubblica assegna all'attività del capo dello Stato.

Sentiamo già il coro di sottofondo: "Prima, spread alle stelle… Silvio Berlusconi alle corde… E, poi, Pier Luigi Bersani vincitore si-fa-per-dire delle elezioni politiche del 2013… Pericolo Grillo… Rischio Grecia… Napolitano non aveva scelta: che cos'altro poteva fare? Ringraziamolo, semmai. E facciamola finita!".

Tranquilli, conosciamo il ritornello.

Sentito mille volte.

Nulla toglie, però, alle verità scomode documentate con meticolosità da studiosi in questo libretto.

Una sopra le altre: re Giorgio tutto è stato fuorchè un arbitro imparziale, come prescrive la Costituzione e come ha subito tenuto ad autodefinirsi il suo successore Sergio MattarellaLink esterno (un caso che nel primo discorsoLink esterno il nuovo capo dello Stato abbia sottolineato con forza proprio la terzietà del ruolo?).

Napolitano si è mosso, eccome, da politico mettendo le mani in pasta nel fare e disfare governi. Dice: c'era un vuoto e grazie a Dio che lui l'ha colmato! Certo, tutto vero: e la Storia gliene renderà merito.

Ma ciò non toglie che abbia esondato.

Anzi, semmai lo conferma.

Dirlo è un contributo alla verità complessa degli ultimi anni. E, se permettete, un diritto. Costituzionalmente (appunto…) sancito.

Perché i padri costituenti avevano conosciuto una stagione in cui certe cose non si potevano dire. E hanno fatto in modo che la libertà di parola divenisse, dopo di allora, intangibile.

Scelta sacrosanta.

Noi di Radio Monteceneri lo sappiamo bene.

Quando, infatti, in Italia era proibito dire verità scomode, questa era l'unica voce fuori dal coroLink esterno.

E fuori dal coro, al costo di sembrare fastidiosi, intendiamo restare. Anche parlando di un libretto piccino picciò che, forse, leggerano in tre…

Segui @massimodonelliLink esterno

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