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Mao e le piccole patrie

tvsvizzera

di Aldo Sofia

Questo contenuto è stato pubblicato il 27 marzo 2014 - 12:09

"Grande è la confusione sotto il cielo; dunque la situazione è molto favorevole". E' una delle massime più note di Mao. La si può rispolverare in queste ore di fibrillazione internazionale. Di fronte alla quale viene rispolverata una tenace teoria: quella delle rinascenti "piccole patrie" europee.

Così vengono inanellate, e concatenate, situazioni in realtà profondamente diverse. Alle comunali in Francia si registra il trionfo di Marine Le Pen, e la vittoria dell'estrema destra "transalpina" viene immediatamente "sposata" dalla Lega Nord italiana, nel nome della comune eurofobia. In realtà si tratta di un "trait d'union" tattico, non certo sostanziale. Le differenze non congiunturali sono infatti enormi. Il "riscoperto secessionismo" dei Lumbard (che, secondo i sondaggi, alle prossime elezioni europee farebbero fatica a superiore la sbarra del 4 per cento dopo il fallimento del progetto federalista e gli scandali al vertice) non ha nulla a che spartire con lo statalismo del Fronte Nazionale lepenista, per il quale è impensabile la perdita anche solo di un'unghia del territorio nazionale. Lo capisce invece Grillo, che infatti dice subito "merci et adieu" a Marine.

Eppure si parla di rilancio delle "piccole patrie". Altro esempio. La Crimea va al referendum e vota in favore del suo "ritorno"alla madre patria russa, staccandosi dall'Ucraina. E tanto basta perchè quella secessione "etero-diretta" anche se genuina, ispiri la propaganda di chi ha organizzato in Veneto un voto elettronico (ma quanto serio e affidabile?) che "consacra" la ferrea volontà di resuscitare la "Serenissima" indipendente. Ma che paragone è? Quelli della Crimea - al 70 per cento russofoni - non hanno chiesto l'indipendenza, ma di far parte della grande Federazione post-sovietica, dove le decisioni politiche non vengono prese nelle periferie ma tutte al Cremlino (andate a chiedere a Putin di accettare un referendum indipendentista in Cecenia o in altre regioni ribelli del Caucaso).

E così di seguito. Dalla Scozia - dove si voterà in settembre, e si vedrà -, alla Catalogna - con la Corte Costituzionale spagnola che ha già respinto la legittimità di una consultazione sul progetto di indipendenza - , al Belgio - dove la frattura fra Vallonia e Fiandre è il risultato di un lungo processo di sfaldamento.

Tutto infilato nello stesso "vaso di Pandora", che scoperchiandosi ci avrebbe riproposto la voglia dei mini-Stati, di identità da ritrovare, di cartine geografiche da ridisegnare, di bandiere da ammainare, o da issare. Su quale pennone, oltretutto, non si sa. Quali confini, quali monete, quali alleanze, e quali vantaggi economici nell'era dei giganti emergenti e della mondializzazione?

Certo, di fronte alla crisi profonda del progetto soprannazionale dell'Unione Europea, e al ribollire di euroscetticismo ed eurofobia, pensare di rifugiarsi e isolarsi in ipotetiche "piccole patrie" è comprensibile. Ma i politici nazionali sembrano spesso afoni. Lasciano dire, non contraddicono, ritengono che le "fratture" mentali siano semplicemente destinate ad evaporare. Ma la Storia ha abbondantemente dimostrato che non sempre è così, che il sasso che rotola alla fine può provocare lo smottamento. Quindi, sì c'è grande confusione sotto il cielo. E la situazione è favorevole. Ma per chi?

Aldo Sofia

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