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La legge è lenta per tutti (ma solo in Italia)

tvsvizzera

Hypercorsivo di Massimo Donelli

Questo contenuto è stato pubblicato il 18 gennaio 2016 - 17:43

E adesso?

Adesso che, con il jobs actLink esterno, i sindacati hanno le quattro gomme a terra…

… adesso che, a colpi di fiduciaLink esterno (è stata richiesta ben 2,93 volte al meseLink esterno), l'opposizione parlamentare è stata ridotta a tappetino…

… adesso che, un bonusLink esterno dopo l'altro (per coloro che hanno un reddito inferiore ai 26 mila euro lordi l'annoLink esterno, per le forze dell'ordine e per gli studenti 18enniLink esterno), è stata messa un po' di liquidità in giro…

… adesso che è stata cancellata la tassa sulla prima casaLink esterno e ci sono altri soldi da spendere…

… adesso che, nonostante tutto ciò, la ripresa avanza a colpi di zero virgolaLink esterno

… adesso - sì, adesso - che cos'altro si aspetta a metter mano all'unica grande riforma attesa, da anni e anni, dentro e fuori i confini italiani?

Sto parlando della riforma della giustizia.

Fin qui considerata tabùLink esterno per la guerra ventennaleLink esterno fra le toghe e Silvio BerlusconiLink esterno.

Ma divenuta, ora e più che mai, urgente.

Perché?

Cercherò di rispondere con un po' di numeri.

Allora…

Nell'arco di vent'anni in Italia è cambiato davvero tutto, dalla politica, alla scuola, al mercato del lavoro.

Per non parlare della rivoluzione digitaleLink esterno, che, come nel resto del pianeta, ha stravolto ogni paradigma sociale.

Solo una cosa a sud delle Alpi è rimasta sempre uguale a se stessa: la macchina giudiziaria.

Lenta, inefficace e, soprattutto, incompatibile con un mondo globalizzato, dove la velocità è norma e la concorrenza tra nazioni spietata.

Lo dimostra, lucidamente, Giustizia civile: come promuoverne l'efficienza?Link esterno il rapporto dell'OcseLink esterno che ha passato al microscopio i tribunali dei Paesi occidentali.

Osservando grafici e tabelle, il primato negativo tricolore, numeri alla mano, assume contorni drammatici.

Vediamo.

In Giappone per arrivare alla sentenza di primo grado bastano meno di 200 giorni: ce ne vogliono circa 600 in Italia.

Verdetto di secondo grado? La Polonia se la sbriga in 50 giorni: all'Italia non sono sufficienti 1.100.

E ne occorrono ben 1.200 per il giudizio di Cassazione, laddove il Portogallo se la cava con 100.

Il calcolo, quindi, è presto fatto: un processo in Italia dura 2.900 giorni, ossia poco meno di 8 anni.

Pazzesco, no?

Tanto per capirci, in Svizzera si passa dal primo all'ultimo verdetto in un anno e tre mesi...

Ora, giustamente, vi domanderete il perché di questa palude.

Le cause, come ha scritto il professor Giuliano LemmeLink esterno, docente straordinario di Diritto bancario all'Università di Modena e Reggio EmiliaLink esterno, sono fondamentalmente tre: "(…) la carenza di organico del sistema di giustizia, la struttura del codice di procedura civile e, infine (ma non da ultimo per importanza) l'elevatissimo tasso di litigiosità degli italiani".

Anche qui i numeri aiutano.

Procediamo voce per voce.

ORGANICI. Racconta Lemme che l'Italia spende per la macchina giudiziaria quasi il doppio dell'Inghilterra (50,3 euro pro capite), ma ha un organico ridicolo: 56,8 addetti per 100.000 abitanti, contro una media nell'Unione europea di 103,7.

Se andiamo a vedere lo stesso rapporto riferito ai giudiciLink esterno, il conto è questo: in Italia sono 16 (fra ordinari e onorari) ogni 100mila abitanti; in Spagna 27, in Francia 55 e nel Regno Unito 52.

Risultato: ciascun giudice italiano ha un carico effettivo di 1.100 fascicoli, come ha raccontato, in un libro documentatissimo e scritto sul campoLink esterno, il magistrato Antonio Lepre, consigliere alla Corte di Appello di Napoli.

"Spesa alta, ma poco personale: sintomo estremo di inefficienza del sistema. Il risultato è un altissimo numero di procedimenti che ciascun giudice deve decidere, con conseguente, comprensibile allungamento dei tempi dei procedimenti e/o scadimento della qualità delle decisioni" conferma Lemme.

CODICE. Passiamo al codice di procedura civile. L'impianto di base risale al 1940 (no, non è un errore di stampa: stiamo parlando esattamente di 76 anni fa…).

Sì, dal dopoguerra sono state riviste molte norme.

Ma senza mai architettare un'unica, grande, coerente riforma.

E le novità via via introdotte non hanno inciso più di tanto.

Ossia, siamo fermi, appunto, al 1940…

LITIGIOSITA'. La propensione alla lite (e alla denuncia) degli italiani pesa, eccome. Ancora Lemme: "In Italia vi sono quasi 4.000 procedimenti per abitante, il doppio rispetto alla Germania e ben più della media europea di circa 2.700. Chi frequenti il Tribunale di Roma sa che ben due sezioni sulle tredici ordinarie debbono in gran parte occuparsi solo della materia dei sinistri stradali, mentre una si dedica quasi esclusivamente alle cause tra condomini".

Perché si fa causa?

Risposta facile: per allungare i tempi.

E sperare di farla franca.

Ma così, ovviamente, si intasano ancor più i tribunali della Repubblica.

Risultato di tutto quanto precede: chi glielo fa fare a un'azienda straniera di investire in ItaliaLink esterno?

Ossia di infilarsi in un dedalo giuridico dove non esiste certezza dei tempi e il groviglio di leggi, commi, precedenti è tale da provocare un mal di testa a chi è abituato a muoversi nella chiarezza dell'habeas corpusLink esterno?

Meglio la Polonia.

O il Portogallo.

Lì si corrono meno rischi.

Morale: gli investimenti stranieri in Italia sono crollatiLink esterno.

Capito?

Ora spero sia evidente perché la riforma è più che mai indispensabile.

La impongono, se non altro, ragioni economiche.

Ma non m'illudo.

Mettere mano alla macchina giudiziaria è un'impresa da far tremare i polsi.

Ci vogliono competenza, coraggio, fermezza (hai detto niente…).

E non bastano.

Impensabile alzare il coperchio della giustizia civile e non toccare quello della giustizia penale, vi pare?

E che cosa succederebbe se si provasse a sollevarli entrambi, mettendosi con il mestolo a rovistare nel mondo delle toghe?

Siamo onesti: vale anche per i politici l'adagio evangelico "Chi è senza peccato…"Link esterno.

Così, nessuno, da destra a sinistra, si azzarda a scagliare la prima pietra contro il muro di faldoniLink esterno della giustizia arretrata.

Ossia della non-giustizia.

Infatti…

… caduta, con TangentopoliLink esterno, l'immunità parlamentareLink esterno

… qualunque onorevole è alla mercéLink esterno di qualunque pubblico ministero…

… tutti, politici inclusi, tengono famiglia…

… e come si è visto anche di recente…

… non sempre i famigliari dei politici rigano dritto…

ErgoLink esterno, rassegnatevi.

Anche perché il peggio non è alle spalle.

Ma, semmai, deve ancora venire.

Leggete qui: "La causa civile iniziata nel settembre 2014? Il 21 dicembre 2015 il giudice la rinvia al 18 gennaio 2019 perché scrive di viaggiare già al ritmo di circa 160 sentenze l'anno; nel triennio il futuro massimo di capacità lavorativa esigibile è già prenotato e esaurito da 500 altre cause più vecchie di questa; e lavorare di più è impraticabile, anche perché «la Convenzione dei diritti dell'uomo vieta schiavitù e lavoro forzato»: con queste motivazioni un giudice della II sezione del Tribunale civile di Taranto, Alberto Munno, prima di Natale ha rinviato al gennaio 2019 la decisione di una causa da 200mila euro tra due società".

Quanto precede è l'attacco di un articoloLink esterno di Luigi FerrarellaLink esterno apparso sul Corriere della seraLink esterno lunedì 4 gennaio 2016.

Ed è anche il sigillo di questo hypercorsivoLink esterno.

Desolante finale, vero?

Proprio così.

Abbiamo capito, infatti…

… che senza una vera, grande riforma…

… la legge continuerà a essere sì uguale per tutti…

… ma nel senso che per tutti sarà, inesorabilmente, lenta, lenta, lenta…

Segui @massimodonelliLink esterno

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