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Calcio, partite truccate, pistole. E se... portasse "bene"?

tvsvizzera

di Aldo Sofia

Questo contenuto è stato pubblicato il 22 maggio 2015 - 09:02

Se - come il sottoscritto - non siete assolutamente juventini, e se - come il sottoscritto - state rosicando alla grande nel timore che i bianconeri conquistino il "triplete" nella notte di Berlino, allora ecco un'altra brutta notizia. O, meglio, un parallelo storico per voi allarmante. Nel 2006 l'Italia vinse i mondiali (dove? in Germania, accidenti!) e si era ancora in pieno scandalo "Calciopoli". E, guarda un po', gli "zebrati" arrivano alla finale e alla possibile vittoria della "Coppa dei campioni" - come si ostinano a chiamarla quelli della mia generazione - proprio mentre un'altra tempesta si abbatte sul calcio italiano, evidenziandone (esattamente come nove anni fa) il lato oscuro, malato, disgustoso.

Infatti, ci risiamo. Anche se stavolta, dalla magistratura di Catanzaro viene scoperchiato il mondo opaco del cosiddetto "calcio minore", Lega Pro e Dilettanti. "Minore" anche come finanziamenti, giro d'affari, stipendi ai calciatori. E tuttavia in grado di alimentare vincite milionarie grazie alle scommesse, alla "dea bendata", che bendata non è affatto. Partite truccate, risultati pilotati, pacchi di soldi vinti in 90'. Ma c'è anche la violenza. Stavolta si parla di minacce fisiche, pestaggi, sequestro di persona, armi e 'ndrangheta. Se questo quadro verrà confermato in sede processuale, saremmo di fronte a un nuovo "Romanzo criminale". Parallelamente corroborato dall'altra inchiesta, quella del pasticcio e della mega-spartizione dei diritti tv che tengono in piedi le squadre dei campionati maggiori.

Non bastasse, ecco in più la recentissima e nitida, impietosa e inquietante fotografia sullo stato di salute economica dello sport più amato dagli italiani. L'annuale rapporto della Federcalcio (di pochi giorni fa) segnala che in totale i debiti dei club professionisti sono ormai saliti a 3,7 miliardi di euro. Pianeta calcio che in serie A ha oltretutto una brutta serie di primati negativi: è il più vecchio d'Europa per età media dei calciatori, è quello che mette in campo più stranieri, è in fondo alla classifica per giocatori "prodotti" in casa, ha un alto numero di stadi ormai ultra-sessantenni. Un calcio che deve affidarsi alla maschera d'ossigeno permanente dei diritti TV (che poi, naturalmente, dettano legge su calendari, orari, giornate spalmate su lunghissimi week -end). In termini di fatturato netto: in Italia i proventi dei diritti tv incidono sulle entrate dei club per il 53% (48% in Spagna e soltanto 31% in Germania), e i ricavi da stadio solo per il 10% (23% nella Bundesliga).

Eppure, chi governa il calcio del Bel Paese si vanta continuamente di essere a capo della nona o decima industria della nazione. Che importa come? Una dirigenza (Federcalcio) che del resto tra gaffe e disinvoltura non è messa benissimo: un presidente, Tavecchio, sospeso dalla Uefa per le sue affermazioni di stampo razzistico e autore di libri fatti acquistare dalla stessa federazione che dirige; il suo sottoposto alla guida della Lega dilettanti sull'orlo delle dimissioni per l'accusa di aver definito il calcio femminile uno sport "per quattro lesbiche"; un capo della Lega Pro sospeso per aver imposto interessi di parte. E, infine, uno Stato interessato a far cassa e che autorizza le scommesse anche nel calcio minore, territorio senza vigilanza.

Insomma, quanto è messo male l'italico calcio! Ma se tanto mi dà tanto, se Calciopoli mi dà "ndranghetopoli", se si ripetesse il miracolo mondiale del 2006, la Juve rischia davvero di alzare la coppa più bella. E realizzare il triplete. Obbligando persino un premier come Matteo Renzi (tifosissimo della "viola", con Firenze piazza più "anti-gobbi" d'Italia) a congratularsi pubblicamente con gli Agnelli. "Alla faccia, direbbe, dei gufi che blaterano del nostro calcio malato". Una rosicata pazzesca.

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