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Alvaro Lojacono, nessuna estradizione possibile

La cittadinanza svizzera dell'ex brigatista rosso lo mette al riparo da un'estradizione in Italia. Ma questo scudo potrebbe anche cadere, rileva un avvocato ticinese, che tra gli anni Settanta e Ottanta condusse diverse indagini sul terrorismo.

Questo contenuto è stato pubblicato il 21 gennaio 2019 - 22:00
tvsvizzera.it/mar con RSi (Quotidiano del 21.1.2019)
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Intervistato dalla Radiotelevisione Svizzera, l'avvocato Paolo Bernasconi – procuratore pubblico ticinese tra il 1969 e il 1985 – rileva che la nuova Legge sulla cittadinanza, entrata in vigore all'inizio del 2018, prevede la possibilità di revocareLink esterno la cittadinanza elvetica a una persona in possesso di due passaporti se "la sua condotta è di grave pregiudizio agli interessi o alla buona reputazione della Svizzera".

Un'ipotesi che potrebbe valere per Alvaro Lojacono Baragiola, l'ex membro delle Brigate Rosse, rifugiatosi in Svizzera nel 1986 e che – grazie alla madre svizzera – ha acquisito la cittadinanza elvetica non appena messo piede in Ticino.

"Senza questo scudo – prosegue Bernasconi – la domanda d'estradizione verrebbe eseguita". Finora, però, l'Ufficio federale di giustizia non ha ricevuto nessuna domanda e Alvaro Lojacono, in quanto cittadino svizzero, non può essere estradato senza il suo consenso.

Vi è anche un'altra ipotesi, ossia che Lojacono Baragiola sconti un'altra pena nella Confederazione. Per questo, però, "l'Italia avrebbe dovuto chiedere alla Svizzera o di eseguire la condanna all'ergastolo per la quale era stato condannato in contumacia in Italia o di svolgere in Svizzera il processo Moro ter, cosa che l'Italia non ha fatto", rileva l'avvocato Renzo Galfetti.

Anche nel caso in cui Lojacono Baragiola dovesse essere condannato, dovrebbe scontare al massimo un paio d'anni di carcere, dopo i 17 che gli sono stati inflitti in Svizzera per l'omicidio del giudice Tartaglione. Il Codice penale svizzero prevede infatti una pena detentiva massima di vent'anni di carcere (l'internamento a vita è contemplato solo per criminali sessuomani o violenti estremamente pericolosi). "A 41 anni dai fatti, a 31 dal primo processo per il quale ha espiato la pena ed è considerato rieducato? Mi sfugge la logica e il buon senso di un'ipotesi di questo genere", osserva Galfetti.

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