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Brexit rinviata al 31 gennaio 2020

I 27 Paesi Ue hanno deciso di accettare la richiesta del Regno Unito di rinviare la Brexit al 31 gennaio 2020. La decisione sarà formalizzata con una procedura scritta. Tra le condizioni, la nomina da parte di Londra di una commissario europeo.

Questo contenuto è stato pubblicato il 28 ottobre 2019 - 21:19
tvsvizzera.it/fra con RSI
Gli striscioni davanti al Parlamento sono chiari: Brexit now. Keystone / Andy Rain

La decisione è stata annunciata su Twitter dal presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, precisando che si tratta di una "flextension", un'estensione flessibile che permette un'uscita britannica dall'UE prima di quella scadenza. 

Condizione

C'è anche la richiesta di nominare il 'suo' commissario europeo tra quelle rivolte al governo britannico dall'Ue nel quadro del via libera a una nuova proroga della Brexit. Secondo fonti europee interpellate dall'agenzia di stampa italiana ANSA, la richiesta di nomina del commissario è stata inoltrata a Londra, insieme a quella di avere l'ok britannico alla proroga, in parallelo all'avvio della cosiddetta procedura scritta decisa lunedì dagli ambasciatori Ue.


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Il premier britannico, Boris Johnson, era stato costretto dal Parlamento a chiedere a Bruxelles un rinvio della data di uscita, non essendo riuscito a far approvare l'accordo raggiunto con l'UE.

Elezioni anticipate

Questo Parlamento ha esaurito la sua funzione". Così il premier britannico Boris Johnson ha argomentato la mozione presentata dal suo governo per chiedere alla Camera dei Comuni l'ok ad elezioni anticipate il 12 dicembre.

Il premier Tory ha aggiunto che avrebbe "prefer

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ito attuare la Brexit" il 31 ottobre come aveva promesso, ma ha accusato la Camera di aver rinviato il suo deal e l'opposizione di non rispettare il referendum del 2016: il risultato è un rinvio di "altri tre mesi" che il popolo non vuole e a un costo di "un miliardo di sterline al mese in più".

"Non si può continuare a rinviare" una decisione sulla Brexit, ha affermato Johnson, puntando in particolare il dito contro il Labour, indicato come l'unico partito che resta a questo punto titubante sulle elezioni, e contro il leader laburista Jeremy Corbyn.

Il premier ha accusato il Labour di voler "frustrare la volontà di 17,4 milioni di persone" che votarono "Leave" al referendum del giugno 2016. E ha ironizzato su Corbyn, affermando che ormai "non ha più scuse" per opporsi a elezioni che per mesi ha detto di volere. Elezioni che anche "secondo la sua logica" dovrebbe volere, se non altro per cercare di vincerle e per negoziare un altro deal con l'Ue, visto che rifiuto quello raggiunto dal governo attuale.





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