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Migranti, l'accordo di Dublino ha i giorni contati

Tusk (a destra) parla di "momento simbolico" perché si è messo fine al "gioco rischioso del biasimo reciproco" keystone

Il vertice europeo apre la strada ad un piano comune. Formalmente il regolamento regge ma si va verso un suo superamento

Questo contenuto è stato pubblicato il 24 settembre 2015 - 12:45

L'Unione europea si ricompatta sulla necessità di riportare le sue frontiere esterne sotto controllo, dopo lo strappo con i Paesi dell'Est sui 120mila ricollocamenti. Il vertice di Bruxelles apre la strada ad un piano comune per far fronte alla peggiore crisi di profughi dal dopoguerra.

Anche dai quattro premier (Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria e Romania) che hanno votato contro il meccanismo di ridistribuzione e si sono visti imporre la decisione non ci sono state reazioni particolari.

Junker: atmosfera migliore del previsto

"L'atmosfera è stata migliore delle mie attese. Sono soddisfatto", puntualizza il presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker. E il presidente del Consiglio europeo, il polacco Tusk parla di "momento simbolico" perché si è messo fine al "gioco rischioso del biasimo reciproco". Per la cancelliera tedesca Angela Merkel "si sono fatti passi avanti verso una soluzione". Il premier Cameron assicura che il Regno Unito "lavorerà con i partner Ue per mitigare il conflitto" in Siria ed offre altri cento milioni di sterline per la crisi dei profughi.

Verso la fine dell'accordo di Dublino

E anche se l'Europa insiste sulla necessità di applicare in pieno il regolamento di Dublino - come si ribadisce nella dichiarazione finale - il premier Matteo Renzi sottolinea come un "passettino" dopo l'altro si stia andando "verso il suo superamento".

Nuovi fondi

Ai Paesi si sono chiesti 500 milioni di euro per il "trust fund" per la Siria. 1,8 miliardi di euro per il "Fondo per l'Africa". Ma anche che gli stanziamenti dei Paesi («drasticamente ridotti» nel 2015) per le agenzie dell'ONU che si occupano di rifugiati, come il Programma alimentare mondiale (PAM) e l'alto commissariato (Unhcr), tornino ai livelli del 2014, fino ad un miliardo di euro almeno.

La Slovacchia non ci sta

Il più duro è il premier slovacco Robert Fico, che ha già annunciato ufficialmente di volere procedere legalmente contro il provvedimento. Il primo ministro ceco Bohuslav Sobotka si dissocia: nonostante i malumori preferisce "non accrescere le tensioni". L'ungherese Viktor Orban, stufo di essere additato come "l'europeo cattivo", invita Merkel a non fare esercizi di "moralismo imperialista". E non rinuncia a uno scambio di battute 'energetico e sostanziale' con il collega austriaco.

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