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Viaggio nell'Amazzonia di Bolsonaro

Un maggiore sfruttamento economico dell'Amazzonia: è una delle promesse elettorali fatte dal nuovo presidente brasiliano Jair Bolsonaro. Come se la passa la più vasta foresta pluviale del mondo?

Questo contenuto è stato pubblicato il 20 giugno 2019 - 09:02
tvsvizzera.it/mar con RSI
Nel solo mese di maggio, l'Amazzonia ha perso 739 chilometri quadrati di superficie, un record. Keystone / Silvia Izquierdo

Uno dei primi provvedimenti del neoeletto presidente brasiliano Jair Bolsonaro, insediatosi il primo gennaio scorso, è stato di rendere il Ministero dell'agricoltura responsabile delle decisioni sulle terre rivendicate dalle popolazioni indigene. Bolsonaro, che ha più volte minimizzato il problema del cambiamento climatico, intende aprire maggiormente la regione allo sfruttamento minerario e più in generale economico. Un approccio che sta già avendo un importante impatto sull'Amazzonia: in maggio la foresta ha perso 739 chilometri quadrati di superficie, l'equivalente di due campi da calcio al minuto, il dato più alto mai registrato, stando all'agenzia incaricata dal Governo di monitorare la deforestazione.

Il Telegiornale della Radiotelevisione svizzera ha fatto un viaggio in Amazzonia, per documentare ciò che sta avvenendo in questa regione dove da sempre dominano interessi in conflitto fra loro.

La prima tappa ci porta a Sinop, nello Stato del Mato Grosso, capitale della soia che l'anno scorso ha massicciamente sostenuto Bolsonaro.

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Da Sinop, il viaggio prosegue verso nord fino a Novo Progress, nello Stato del Parà. Le strade sono una delle principali sfide per chi intende sfruttare di più le potenzialità economiche dell'Amazzonia. Le piogge torrenziali le rendono infatti spesso inutilizzabili. Gli ambientalisti temono invece che migliorare le strade non farà che aumentare il disboscamento.

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In questo terzo reportage, Emiliano Guanella rende visita agli indios kayapo, nello Stato del Parà, confrontati con una crescente pressione di cercatori d'oro illegali, agricoltori e allevatori, che entrano nella loro riserva quotidianamente, convinti di godere di una pressoché assoluta impunità.

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