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I Pellerossa del football cambiano nome e logo

Simbolo di coraggio e fierezza. Ma a molti, sponsor inclusi, pare inopportuno. Keystone / Nick Wass

La società di football americano Washington Redskins ha annunciato lunedì il ritiro, dopo 87 anni, di nome e logo ispirati ai nativi americani. La decisione è stata presa sulla scia delle proteste per la giustizia razziale seguite all'uccisione dell'afroamericano George Floyd da parte della polizia di Minneapolis. A convincere il team a intraprendere un passo già valutato in passato, sono state le minacce degli sponsor di tagliare i fondi.

Questo contenuto è stato pubblicato il 14 luglio 2020 - 18:50
tvsvizzera.it/ATS/ri con RSI (TG del 14.07.2020)

Il nuovo nome sarà scelto entro l'inizio della prossima stagione. Il proprietario Dan Snyder e il coach Ron Rivera stanno lavorando a stretto contatto, si legge in una nota della società, "per sviluppare un nuovo nome e un approccio grafico che rafforzerà la posizione del nostro franchise orgoglioso e ricco di storia, e ispirerà i nostri sponsor, i nostri fan e la nostra comunità per i prossimi 10 anni".

Sfoggiato per oltre mille partite, il simbolo dell'indiano con due piume tra i capelli voleva in origine esaltare coraggio e fierezza dei nativi americani. Ma oggi il nome pellerossa espone il fianco (e gli sponsor) alle accuse di razzismo.

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Il riesame era cominciato lo scorso 3 luglio, dopo che vari sponsor -segnatamente Fedex, Pepsi e Nike- avevano minacciato di ritirare i loro contributi se non fosse stato cambiato il nome, finito nel mirino da tempo perché ritenuto offensivo nei confronti dei nativi.

La squadra, una delle più vecchie e gloriose della National Football League, cominciò ad usare il soprannome nel 1933, quando la sua base era a Boston. Quattro anni dopo si trasferì nella capitale.
 

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Nel 2013, Snyder aveva detto che non avrebbe mai cambiato il nome e il presidente degli Stati Uniti Donald Trump lo ha sempre difeso. Il cambio del nome, peraltro, non fa l'unanimità neppure tra gli anti-razzisti: molti auspicano azioni meno formali e più concrete, come restituire un lavoro a Colin Kapernick, ex giocatore bandito dalla NFL per aver denunciato, inginocchiandosi, il razzismo nella società statunitense.
 

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