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Quando le mummie parlano delle loro malattie

Circa la metà delle mummie analizzate presentavano sintomi di arteriosclerosi grave. Swiss Coffin Project/pmimage.ch

Cosa possono dirci una mummia egiziana o uno scheletro del XVII secolo sulle malattie che ci colpiscono oggi? Un sacco di cose, se si esaminano questi reperti dal punto di vista della medicina evolutiva.

Questo contenuto è stato pubblicato il 15 novembre 2015 - 11:00
Isobel Leybold-Johnson, Zurigo, swissinfo.ch

Questo nuovo settore di ricerca associa biologia molecolare, archeologia ed immunologia; permette di capire meglio il presente e di scovare piste per il futuro.

L’Università di Zurigo, che ha creato il primo istituto al mondoLink esterno dedicato interamente alla medicina evolutiva, è all’avanguardia in questo tipo di ricerche, soprattutto quando si tratta di investigare sui segreti della salute dei nostri avi.

Recentemente, l’istituto ha organizzato la prima conferenza europeaLink esterno di medicina evolutiva. L’appuntamento è stato l’occasione per presentare il caso di uno scheletro dell’inizio del XVII secolo, rinvenuto nel 2014 nel monastero di Fraumünster a Zurigo.

Daria Moser, studentessa di archeologia preistorica coinvolta nell’analisi dei resti di quest’uomo di 30 anni, ha spiegato che lo scheletro presentava articolazioni e denti in pessimo stato.

Malattia auto-immune

«Dalle patologie che abbiamo potuto osservare, abbiamo concluso che soffriva probabilmente di poliartrosi cronica evolutiva, una malattia auto-immune. Ossia quando il sistema immunitario invece di difendere l’organismo da aggressioni esterne lo danneggia», spiega Daria Moser a swissinfo.ch. «Non sappiamo da dove viene la malattia. Una lunga discussione, ancora in corso, è sfociata sull’ipotesi che fosse originaria delle Americhe e avesse traversato l’Atlantico dopo Cristoforo Colombo. Fondamentalmente, abbiamo scoperto che si tratta del primo caso di poliartrite cronica evolutiva nel Vecchio Continente».

Questa malattia, che causa spesso dolori e difformità, colpisce fino all’1% della popolazione mondiale. In Svizzera, 70'000 persone circa ne sono affette.

Analizzando questo primo caso di poliartrite cronica evolutiva, gli scienziati sperano di saperne di più sulla sua evoluzione. Ciò potrebbe contribuire a scoprire un’eventuale terapia, osserva Daria Moser. Ed è proprio questo l’obiettivo della medicina evolutiva.

Un settore in piena evoluzione

Frank Rühli, direttore dell’Istituto di medicina evolutiva (IEM) di Zurigo, spiega che questo settore di ricerca in pieno sviluppo applica i principi della biologia evolutiva per valutare i problemi medici, sanitari e la malattia.

«All’inizio, Randolp Nesse, uno dei pionieri in quest’ambito, ha affermato: ‘la medicina senza medicina evolutiva, è come l’ingegneria senza la fisica’», rileva Frank Rühli.

Si tratta di trovare delle risposte a numerose domande: perché abbiamo del sangue, perché sanguiniamo e quali sono i fattori che fanno sì che il sangue coaguli o continui a fuoriuscire? La medicina evolutiva si interessa anche ai cambiamenti osservati nel corpo umano e a come si è adattato. Certi adattamenti avvengono in un lasso di tempo molto breve, prosegue lo specialista.

«Dico sempre ai miei studenti che praticheranno la medicina per i prossimi 50 anni, ma che in realtà, durante questo periodo, l’essere umano cambierà, osserva Rühli. Spesso, degli studenti particolarmente inesperti pensano che tutto sia come sta scritto nei libri e inciso nella pietra. Non è così, però».

«Gli esseri umani si adattano, il patrimonio genetico si modifica. Vi sono le migrazioni, la crescita demografica… Sono tutti fattori che avranno un impatto sul patrimonio genetico, sulla morfologia, sul modo di agire della gente».

Si pone quindi la questione della normalità, osserva ancora Rühli. La gente è semplicemente differente: geneticamente, morfologicamente e metabolicamente.

Cosa ci dicono le mummie?

L’IEM si è specializzato nello studio delle malattie rinvenute nelle mummie dell’AntichitàLink esterno. Queste possono svelare molti più dettagli rispetto agli scheletri, poiché i tessuti molli si sono conservati meglio grazie al processo di mummificazione.

Una scoperta sorprendente ha mostrato che molte mummie egiziane studiate (circa la metà) presentavano sintomi di arteriosclerosi grave, che provoca un indurimento e un ispessimento delle arterie, fino a causare problemi cardiovascolari o infarti.

«Si dice spesso che l’arteriosclerosi sia una malattia causata dal modo di vita moderno», osserva Frank Rühli. Si ritiene infatti che una dieta ricca di grassi sia un fattore aggravante. «È però sbagliato, poiché vi sono molti casi antichi di arteriosclerosi. È affascinante. Ciò mostra fondamentalmente che la base genetica per contrarre questa malattia è in realtà molto antica».

Sulle mummie sono utilizzate tecnologie moderne, come scanner e raggi X. Queste permettono di avere buoni risultati senza danneggiare i reperti.

«Oetzi», l’uomo dei ghiacci

La tecnologia può anche essere usata per risolvere misteri vecchi di migliaia di anni. Frank Rühli ha ad esempio utilizzato una tecnologia basata sui raggi X per determinare le cause della morte di «Oetzi», la mummia del neolitico ritrovata nel 1991 nelle montagne dell’Alto Adige. L’Uomo di Similaun, come è anche stato ribattezzato, era morto a causa delle ferite provocate da una freccia.

Frank Rühli ha avuto la chance di lavorare su Oetzi. courtesy Frank Rühli

È anche possibile estrarre del DNA da campioni di ossa e da tessuti mummificati. Ciò permette di vedere, ad esempio, se dei popoli antichi erano o meno intolleranti al lattosio. Gli scienziati italiani hanno constatato che Oetzi lo era, contrariamente alla maggior parte degli europei moderni, cresciuti con una dieta a base di latticini. Secondo alcuni, per la modifica genetica che ha permesso di tollerare il lattosio in Europa ci sono voluti centinaia di anni.

E in futuro?

Trarre gli insegnamenti del passato per meglio capire il presente e il futuro: è questo che stimola Frank Rühli. «È la sfida principale con cui siamo confrontati. Siamo riusciti ad aumentare considerevolmente la speranza di vita. È molto positivo, ma vi sono anche conseguenze finanziarie. Poi, fino a dove possono spingersi le tecnologie mediche, cosa potremo fare tra 50 anni con queste tecnologie e quali saranno le conseguenze sul nostro organismo?».

«Se ad esempio la gente si muove meno, diventa meno robusta. Quindi vi saranno probabilmente più fratture ossee. Ogni cambiamento ha un impatto ed è ciò che affascina in questo nuovo approccio».

 L’Istituto di medicina evolutiva (IEM)

L’istituto zurighese è specializzato soprattutto nell’analisi del DNA antico, nella ricerca sulle mummie e sull’evoluzione morfologica dell’apparato locomotore.

Dal 30 luglio al 1° agosto 2015, ha organizzato la prima Conferenza europea di medicina evolutiva. L’incontro ha riunito esperti di diversi settori: medicina, antropologia, biologia molecolare, paleopatologia, archeologia, epidemiologia, ecc. Tra i partecipanti, anche il Premio Nobel Harald zur Hausen, virologo tedesco che per primo ha fatto un legame tra il papillomavirus umano e il cancro al collo dell’utero.

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