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L'esercito degli "angeli del fango"

Giovani all'opera keystone

Ci sono le istantanee che mezzo secolo fa fecero il giro del mondo, commuovendo e confortando molti. E ci sono quelle odierne, meno spettacolari, meno diffuse, apparentemente anche meno emozionanti, come se ormai si trattasse di una presenza preziosa ma scontata. Si parla di volontari, gli "angeli" di ogni tragedia che conosce un'Italia spesso sconvolta dalla violenta ribellione della natura, ma anche dall'incuria, della mancata prevenzione, della cattiva amministrazione e della memoria corta che subito grida all'emergenza senza che poi se ne traggano le necessarie lezioni.

Questo contenuto è stato pubblicato il 03 novembre 2016 - 17:28
Aldo Sofia

Quelle immagini in bianco e nero di cinquant'anni fa (era il 6 novembre 1966) riguardano l'alluvione di Firenze, l'esondazione dell'Arno, la città sommersa, i suoi grandi capolavori minacciati, case, chiese e musei prigionieri della melma. E soprattutto quelle istantanee ci riportano alle migliaia di giovani arrivati anche dall'estero che, spinti da una regia silenziosa ma potentissima, lì si ritrovarono da tutto il mondo, si procurarono alla bell'e meglio gli strumenti necessari, si improvvisarono in lavori di contenimento delle acque, in catene umane impegnate nel trasferimento di quello che si poteva salvare, in temporanei curatori di opere d'arte. Chi per la prima volta vide il crocifisso di Cimabue, e chi dormiva all'aperto davanti ai portoni degli Uffizi. Un esercito di sentinelle stremate dalla fatica.

Li chiamarono "gli angeli del fango". E anche "la migliore gioventù", per quello slancio di spontaneo volontariato che prometteva l'arrivo di una generazione più sensibile, generosa, solidale. Non andò esattamente così: arrivò il Sessantotto, ma arrivarono anche gli anni di piombo. Comunque da allora gli "angeli" sono sempre tornati sui luoghi colpiti dalle calamità naturali. Come oggi nelle zone del centro Italia di nuovo devastate dal terremoto che sembra inesorabilmente avanzare anche verso nord.

Certo, oggi di loro si parla meno. Allora, mezzo secolo fa, la Protezione civile non esisteva nella sua attuale organizzazione capillare; le strutture di intervento ci sono, anche non quelle che invece dovrebbero poi eliminare le cause di case troppo facilmente sbriciolate dal sisma, di abusivismi edilizi che aggravano la fragilità del territorio, di soldi per la ricostruzione ingoiati da appalti truccati e ristrutturazioni criminosamente realizzate con materiale scadente. Da Amatrice a Pescara del Tronto, sono impegnati oltre mille volontari: aiuto agli anziani, assistenza agli sfollati, medici e psicologi per l'assistenza ai bambini, le cucine da campo. Presenze altrettanto nobili e necessarie di quelle di cinquant'anni fa sui Lungarni fiorentini.

E anche un'occasione per ricordare le cifre, straordinarie, del volontariato in Italia: oltre 44.000 associazioni, più di sei milioni di persone impegnate (cioè il 12,6 per cento della popolazione), 126 milioni di ore lavorative e gratuite alla settimana, Trentino e Veneto largamente in testa. Certo, anche tra le pieghe del volontariato, come ha segnalato la Corte dei Conti, vi è chi ne approfitta per dirottare i fondi raccolti verso destinazioni per nulla nobili. Vigilanza, dunque. Ma i "soliti noti" che speculano sulle tragedie non possono certo cancellare la generosità di quegli "angeli" che - assicura un'indagine dell'ISTAT - equivalgono al lavoro di 780 mila persone impegnate a tempo pieno. Non solo necessarie. Indispensabili.

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