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La giungla dei permessi

C'è chi, in Svizzera, si è visto rifiutare la richiesta d'asilo presentata anni prima, quando nel frattempo si era perfettamente integrato alla società e aveva raggiunto l'indipendenza economica. Altri, invece, hanno ottenuto subito un permesso che permette loro di restare indefinitamente nel paese.  Un viaggio nei paradossi del mondo della migrazione in Svizzera nel Reportage della trasmissione Falò. 

Questo contenuto è stato pubblicato il 27 maggio 2018 - 10:00
Sarah Ferraro e Silvana Rodriguez, Falò RSI
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Bewar e Rebazz una decina d’anni fa scappano dal Kurdistan iracheno e chiedono asilo in Ticino. In attesa della  risposta seguono una formazione, imparano l’italiano, cominciano a lavorare, pagano le tasse, insomma si integrano nella nostra società. Nel frattempo Berna respinge la loro domanda d’asilo e decide che possono tornare in Iraq. 

Il rimpatrio però non avviene perché loro non vogliono partire e il Kurdistan non li accetta. E allora finiscono in un centro per richiedenti l’asilo, come se fossero arrivati in Ticino da una settimana. Risultato, dopo aver raggiunto una loro indipendenza economica, tornano ad essere a carico dello Stato; condizione in cui potrebbero restare per anni. 

Una vicenda paradossale, che diventa ancora più difficile da capire se confrontata con il trattamento che Berna ha invece concesso agli eritrei: fino a qualche tempo fa ottenevano subito il diritto all'asilo e un permesso B; in pratica la garanzia di restare in Svizzera a tempo indefinito, totalmente a carico dello Stato e senza dover dimostrare di essere integrati. Cosa rende possibili situazioni così contraddittorie? Che ruolo giocano, rispettivamente Berna e Bellinzona? Le risposte nel reportage di Falò. 

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