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Il Villaggio Svizzero di Messina: un monumento silenzioso del terremoto del 1908

L'ultimo chalet rimasto è ormai poco più di un rudere, ma queste vecchie assi di legno raccontano una storia di solidarietà. tvsvizzera

Per molti messinesi "Villaggio Svizzero" è solo il nome di un quartiere della città. Ma quel nome ricorda il grande aiuto che la Confederazione diede al Regno d’Italia dopo il terribile terremoto calabro-siculo. A ricordare il Villaggio Svizzero è rimasta solo una casetta.

Questo contenuto è stato pubblicato il 05 novembre 2022 - 08:00
Mario Messina

Se a Messina si chiedono indicazioni per il Villaggio Svizzero tutti sanno esattamente dove devi andare. "Scendi Viale Giostra fino all’incrocio con Via Regina Elena. Lì c’è Salita Ogliastri, l’inizio del Villaggio Svizzero". Ma alla domanda sull’origine del nome di quella zona molti non sanno rispondere. Sarà che del Villaggio Svizzero non è rimasto quasi più nulla, sarà che è passato più di un secolo da quando fu costruito, ma sta di fatto che per molti quello è un nome come un altro.

La verità, però, è ben diversa. Il nome "Villaggio Svizzero" rimanda a una delle tragedie più gravi che hanno colpito la città: il terribile terremoto calabro-siculo che all’alba del 28 dicembre del 1908 sconvolse le province di Messina e Reggio Calabria con una scossa di magnitudo 7,3 e che in soli 37 secondi spazzò via tutto uccidendo tra le 75'000 e le 82'000 persone.

Una tragedia che scioccò il mondo intero. Tanto che nei giorni successivi iniziò una gara di solidarietà tra diversi Paesi amici del Regno d’Italia per inviare aiuti tra la Sicilia e la Calabria aiuti. Fu uno dei primi esempi di solidarietà internazionale in seguito a disastri naturali.

Il Villaggio Svizzero appena costruito nel 1909. Bundesarchiv Bern

Tra i Paesi ad aderire alla chiamata alle armi ci fu la Svizzera. "In questa zona furono costruiti gli chalet di legno donati dalla Confederazione. Da qui il nome Villaggio Svizzero", ci racconta Antonino Principato, architetto e profondo conoscitore della storia di Messina.

Lo chalet superstite

A distanza di 113 anni di quell’agglomerato di abitazioni rimane davvero poco: il nome e una casetta.

Il cemento ha avuto la meglio su tutte le casette costruite grazie all'aiuto della Confederazione, eccetto una. tvsvizzera

L’unica superstite delle 21 che furono costruite dagli operai svizzeri scesi a Messina per aiutare la popolazione. "Ognuno dei 21 chalet portava il nome di uno dei Cantoni. Purtroppo, non siamo riusciti a sapere quale fosse il nome di questo qui, l’unico sopravvissuto", racconta Principato.

Quando, nei primi giorni del 1909, il governo Giolitti fu chiamato a organizzare gli aiuti alle popolazioni colpite dal sisma, fu subito chiaro che il principale problema da risolvere era dare un tetto sotto cui dormire ai sopravvissuti. L’onore di preparare in poco tempo il "Piano baraccato" della città di Messina fu affidato all’ingegner Riccardo Simonetti. Preso atto delle offerte di aiuto che via via stavano pervenendo da diverse parti del mondo, Simonetti decise di creare a Messina tre Villaggi: quello americano, quello che portava il nome di Elena, regina consorte d'Italia, e infine quello svizzero.

Pianta e vista dall'alto di queste prime case prefabbricate. Una caratteristica particolare era il massetto basso, che fungeva da camera da letto. Bundesarchiv Bern

"A progettare e a costruire questi villaggi furono ingegneri e operai dei Paesi donatori, così come da lì provenivano i materiali. Per questo ognuno dei villaggi ricordava gli agglomerati urbani dei Paesi da cui provenivano", spiega Principato.

E dunque gli chalet che formavano il Villaggio Svizzero erano costruzioni in legno con tetto spiovente, sottotetto abitabile e recinzione tutt’intorno. A gestire il cantiere del Villaggio svizzero di Messina e di quello di Reggio Calabria (di quest’ultimo, però, non rimane più nulla) e addirittura a scegliere a chi affidare le nuove case fu chiamato un uomo della Confederazione.

Una delle case di legno costruite in serie. Bundesarchiv Bern

Scrive la Gazzetta di Messina e delle Calabrie del 30 luglio 1909: "Per il villaggio svizzero di Messina i lavori procedono ormai regolarmente (…). La scelta dei futuri abitanti degli Chalets, sarà fatta fra le numerose domande pervenute (…). Il termine per l’accettazione delle domande scade il 5 di agosto, e solo dopo questa data si potrà sapere l’esito che le domande avranno. Chi vuol profittare quindi, in questi altri pochi giorni, indirizzi la domanda al capitano Spychgrol, Villaggio Svizzero di Reggio, specificando mestiere, stato di famiglia e i danni subiti in seguito al disastro".

Foto di gruppo degli artigiani svizzeri inviati a Messina per la costruzione dell'insediamento. Al centro in abito bianco (a destra) il responsabile del progetto Siegfried Spychiger. Bundesarchiv Bern

Sopravvissuto alla guerra e al fascismo ma non alla speculazione edilizia

Fu così che 42 nuclei famigliari trovarono rifugio, mesi dopo il terribile terremoto, all’interno del Villaggio Svizzero. Persone fortunate, perché a differenza delle tantissime baracche che sorsero in quei mesi per dare alloggio ai sopravvissuti, quelle offerte dalla Svizzera erano vere e proprie case costruite con materiale di qualità e pensate per durare. Fu per questo motivo che quando il regime fascista decise di abbattere tutte le baracche risalenti al terremoto, quelle del Villaggio Svizzero furono risparmiate.

L'interesse per queste case fu grandissimo, come spiega in questo video lo storico Pietro Wallnöfer:

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"Quelle baracche non superarono solo il piano di abbattimento fascista, ma finanche i bombardamenti del 1943 che qui a Messina furono molto pesanti", racconta Antonino Principato. "Peccato però che non riuscirono a sopravvivere alla speculazione edilizia degli anni Cinquanta".

A partire dal Dopoguerra, infatti, la zona fu interessata da una serie di abbattimenti per dare spazio agli enormi palazzoni che ancora oggi caratterizzano il luogo. E così anche le casette svizzere in legno iniziarono, una a una, a cadere sotto la prepotenza del cemento. Tutte tranne una.

Bundesarchiv Bern

"La superstite si trova ancora in piedi un po’ per fortuna e un po’ perché nel 1998, quando ero dipendente comunale e fui chiamato a redigere il piano regolatore, posi un vincolo su quello chalet. Il motivo? Quella costruzione racconta una parte della storia della nostra città e dunque non può e non deve essere abbattuta", afferma l’architetto Principato.

Oggi la casetta è di proprietà privata. È abbandonata sebbene in buone condizioni. "Peccato, però, che la sua storia non sia valorizzata", conclude l’uomo che l’ha salvata. "Strutturalmente sta bene e all’interno è molto spaziosa. Se ci fosse un finanziamento pubblico e un accordo con il proprietario la si potrebbe ristrutturare e trasformarla, perché no, in un museo del Terremoto del 1908. Ma per il momento non esiste alcun progetto di questo tipo. Per ora resta un monumento silenzioso al grande sforzo benefico della Svizzera verso la nostra città".

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