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La Turchia ha seppellito la sua eredità laica e democratica

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan con la moglie Emine il giorno del referendum sulla modifica della Costituzione. Keystone

Con il voto di questa domenica, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan è riuscito ad ottenere la licenza per una dittatura, ponendo fine alla separazione dei poteri in Turchia, osserva la stampa svizzera. Per i commentatori, il paese del Bosforo si allontana inevitabilmente dal resto dell’Europa. 

Questo contenuto è stato pubblicato il 18 aprile 2017 - 10:29
swissinfo.ch

Con questo voto, la Turchia ha praticamente “seppellito la democrazia parlamentare”, una democrazia parlamentare che “era riuscita finora a superare colpi di Stato, intrighi e scandali”, così il Tages-Anzeiger e il Bund interpretano il risultato del referendum tenuto questa domenica nel paese a cavallo tra l’Europa e l’Asia. 

I turchi in Svizzera dicono no 

La modifica costituzionale richiesta dal presidente Recep Tayyip Erdogan è stata bocciata dalla maggioranza dei turchi residenti in Svizzera: il 62% dei votanti sul territorio elvetico ha infatti respinto la proposta di ampliare i poteri presidenziali. Nella Confederazione, tra il 27 marzo e il 9 aprile, hanno votato 54'436 dei 95'263 elettori iscritti. 

In quasi tutti gli altri paesi europei, i turchi espatriati hanno invece approvato la riforma costituzionale. Secondo i dati diffusi nella notte dall'agenzia di stampa ufficiale turca Anadolu, in Germania, dove risiede la più grande comunità turca all'estero (1,4 milioni gli aventi diritto), il 63,07% degli elettori ha detto sì al nuovo sistema presidenziale. 

In Austria e in Belgio la riforma è stata accettata rispettivamente dal 73,23% e dal 74,98% degli elettori. In Olanda ha votato per il sì il 70,94% degli aventi diritto. 

Complessivamente, stando all’agenzia Anadolu, il 59,09% degli elettori turchi residenti all’estero ha sostenuto la modifica costituzionale voluta da Erdogan. Il voto all'estero (gli aventi diritto sono circa 2,9 milioni su un totale di 55,3 milioni di elettori) si era concluso già lo scorso 9 aprile.

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Recep Tayyip Erdogan ottiene così una “licenza per istaurare una dittatura. Tutto il potere si trova ora nelle sue mani. È capo di Stato, primo ministro, comandante supremo dell’esercito, presidente del suo partito e in futuro potrà perfino nominare i giudici e i procuratori ai ranghi più alti della giustizia. Il presidente può emanare dei decreti, con valore di legge, e sciogliere in qualsiasi momento il Parlamento”, rilevano i due giornali nel loro commento comune. 

“Per raggiungere il suo obbiettivo, Erdogan ha impiegato tutti gli strumenti. Ha fatto passare per traditori coloro che lo criticavano, ha offeso mezzo mondo e ha sventolato la clava del nazismo verso i paesi dell’Europa occidentale”, proseguono il Tages-Anzeiger e il Bund, secondo i quali l’UE “non deve accettare questo cambiamento di regime”. Per uno Stato “diretto da un solo uomo non vi è spazio nella comunità di valori europea”. 

Autocrazia legalizzata

In qualsiasi altra democrazia “un risultato con uno scarto di voti così ridotto, come quello di questo 16 aprile, dovrebbe preoccupare coloro che sono al potere”, osserva la Neue Zürcher Zeitung. “In questa votazione era in gioco qualcosa di fondamentale. I turchi dovevano decidere in che sistema politico vogliono vivere. In un sistema che assomiglia ancora a una democrazia, in cui vi è una divisione dei poteri, oppure in un sistema in cui tutti i poteri vengono affidati ad una sola persona”. 

Per il quotidiano zurighese, con “questo cambiamento della Costituzione il presidente turco ha voluto proteggersi in modo duraturo da procedure giudiziarie, ha voluto legalizzare il suo potere assoluto, finora anticostituzionale, e vuole continuare a modellare a suo piacimento il paese. Se si vogliono chiamare le cose con il loro nome, allora bisognerebbe dire che Erdogan è riuscito a far approvare dal suo popolo una dittatura con un’impronta islamica. Dalla metà del suo popolo”. 

Secondo la Neue Zürcher Zeitung, molti turchi hanno accettato l’idea, in base alla quale il paese si lascerebbe dirigere in modo più efficiente da un leader onnipotente – anche se ciò non è per nulla provato. Molti confidano ciecamente in Erdogan. Altri sono stati influenzati dagli slogan nazionalisti e anti-occidentali, come pure dalle promesse di porre definitivamente fine al terrorismo – quel terrorismo provocato in buona parte dello stesso Erdogan. 

Esperienza amara 

“La separazione dei poteri è ormai finita; la priorità viene ora data alla persecuzione dei ‘nemici dello Stato’. Ed è lo stesso Erdogan a decidere chi è un nemico dello Stato”, annota la Luzerner Zeitung. “Il nuovo sultano scandisce il motto ‘un popolo, una bandiera, uno Stato’. Ciò che suona come un invito rivolto a tutti i cittadini, rappresenta in realtà la minaccia che in futuro non tutti apparteranno al popolo, non tutti troveranno posto sotto la stessa bandiera e il potere statale potrà decidere chi perde i propri i diritti di cittadinanza”. 

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“L’Europa sa, in base ad un’esperienza amara, che cosa significa concentrare tutti i poteri nelle mani di un demagogo. Purtroppo solo poco lascia prevedere che la ‘nuova’ Turchia potrà sfuggire a questa esperienza”, avverte il quotidiano lucernese. 

La Turchia si allontana dall’Europa 

Per la Tribune de Genève, la “presidenzializzazione all’estremo” approvata questa domenica “scava la fossa della Turchia laica, voluta da Kemal Atatürk. Una Repubblica turca che dal 1923, nonostante numerosi rovesci e colpi di Stato, era riuscita a conservare un certo equilibrio, una maniera di democrazia, seppure imperfetta”. 

Nonostante mezzi considerevoli, “la campagna a senso unico condotta dall’uomo forte del paese non è riuscita a far tacere l’opposizione, sia socialdemocratica che curda, cittadina o intellettuale. Il padrone di Ankara governerà quindi una Turchia più che mai divisa. E vi è da temere che la sua vittoria di corta misura non lo spinga affatto verso la clemenza e la moderazione nei confronti della piccola metà del suo popolo che gli ha detto di no”, osserva il quotidiano ginevrino. 

“Più inquietante: per completare la mutazione autoritaria e poliziesca del suo regime, Erdogan evoca già un nuovo referendum. Per ristabilire la pena di morte. Uno scrutinio in forma di provocazione verso l’Europa, da cui la Turchia si è allontanata un po’ di più durante questa giornata nera per la democrazia”. 

Sultano con superpoteri 

“Adesso ‘sultano’ lo è davvero. Ha i pieni poteri. Esecutivo, legislativo, giudiziario. Le leve del comando sono tutte nelle sue mani, e il controllo delle forze armate è diventato ancora più saldo dopo il ‘presunto golpe’ del luglio scorso”, scrive La Regione. 

“Un sultano, Recep Tayyip Erdogan, non proprio amato, se il referendum è tutto tranne che il plebiscito da lui agognato, se una prona Commissione elettorale ha accettato di violare la legge pur di assicurargli il risicato margine che gli consegna la vittoria, se l’Osce boccia la votazione per brogli manifesti e condizioni di voto inappropriate, e se la metà della Turchia boccia la sua volontà di potenza, praticamente imposta dopo dieci mesi di sfacciate e massicce iniziative di stampo dittatoriale”, prosegue il giornale ticinese. 

“Cosa fare di questa Turchia lacerata e fertile terreno del terrorismo jihadista, come non abbandonare a sé stessa la parte del Paese che ha avuto l’ardire di negarsi ai superpoteri del presidente, come privare quest’ultimo del suo potere ricattatorio sul tema dei rifugiati. Sono questi i dilemmi di Occidente e Russia. I vari tentativi (di Washington e di Mosca) di servirsi di Erdogan in una serie di alleanze e contro-alleanze non hanno prodotto nulla di utile, date anche le sue repentine svolte politiche. E ora, i superpoteri del satrapo di Ankara promettono anche di peggio”.

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