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Perché la Svizzera non ha (ancora) firmato il trattato per la proibizione delle armi nucleari?

Primo test di una bomba nucleare tattica svolto dalla Francia sull'isola di Mururoa nel 1966. Keystone

La Svizzera, come altri Stati, non ha ancora firmato e ratificato il trattato per la proibizione delle armi nucleari, adottato l’estate scorsa dalle Nazioni Unite. Alcune spiegazioni in vista del dibattito sulla questione in parlamento.

Questo contenuto è stato pubblicato il 14 marzo 2018 - 16:00
Frédéric Burnand Ginevra

La direttrice della Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari (ICANLink esterno), Beatrice Fihn, l’ha ripetuto anche sabato alla Radiotelevisione svizzera di lingua francese RTSLink esterno: «Se la Svizzera non firma questo trattatoLink esterno, sorgeranno dei dubbi sul suo statuto di campionessa in materia di diritto umanitario e disarmo. Ciò potrebbe minare la sua credibilità in questi ambiti».

Con sede a Ginevra, l’ICAN ha ricevuto il premio Nobel della pace nel 2017 per il suo ruolo di primo piano nell’adozione del Trattato per la proibizione delle armi nucleari, accordo che rafforza l’articolo 6 del Trattato sulla non proliferazione nucleare (TNPLink esterno, 1968).

Il parlamento svizzero sosterrà questa intesa? Il Consiglio nazionale, la Camera del popolo, giovedì dibatterà sulla questione in seguito a una mozioneLink esterno del deputato socialista Carlo Sommaruga, il quale invita il Consiglio federale «a firmare il Trattato per la proibizione delle armi nucleari il prima possibile e di sottoporlo immediatamente al parlamento affinché ne approvi la ratifica».


I dubbi di Berna

L’ambasciatrice rappresentante la Svizzera alla Conferenza sul disarmo, Sabrina Dallafior, difende la posizione adottata da Berna. «La Svizzera ha partecipato ai negoziati e ai lavori preparatori dell’accordo. Il 7 luglio scorso abbiamo approvato i risultati delle trattative. La Svizzera, infatti, si augura di eliminare finalmente tutte le armi nucleari e sostiene il passaggio nel trattato in cui si sottolinea l’effetto catastrofico da un punto di vista umanitario delle armi nucleari».

Bisognerà aspettare qualche mese prima di sapere se la Confederazione intende firmare e ratificare questo accordo. Come precisa l’ambasciatrice, «un gruppo interdipartimentale a Berna analizza il testo per valutare la sua solidità sul piano tecnico e se è la strategia giusta per giungere a un divieto».

Il governo non nasconde, difatti, un certo scetticismo. «Non siamo sicuri che questa intesa permetta veramente di fare un passo avanti verso l’eliminazione delle armi nucleari. I Paesi che posseggono già la bomba atomica non hanno ancora sottoscritto l’accordo. Siamo persuasi che questi Stati, e i loro alleati, debbano essere coinvolti in questo processo. Questo trattato non dovrebbe esser contro di loro, ma con loro», sostiene Sabrina Dallafior.

Sono argomenti che non convincono però Beatrice Fihn: «Il disarmo è un obiettivo che è possibile raggiungere solo sul lungo termine. Un giorno riusciremo a vietare e ad eliminare tutte le armi nucleari. L’unica domanda che ci si deve porre è la seguente: lo facciamo subito o dopo averle impiegate?», si chiede l’attivista durante l’intervista con la RTS.

Difficile compromesso

Il consulente presso il Geneva centre for security policy (GCPS), Marc FinaudLink esterno, spiega la difficile posizione della Svizzera: «Berna intende studiare tutte le implicazioni del trattato. È logico e giusto da un punto di vista giuridico. Ma l’obiettivo perseguito dalla Svizzera - colmare il fossato tra i contrari e i favorevoli - è pressoché impossibile. O dentro o fuori. Non ci sono alternative».

Lo specialista in materia di proliferazione delle armi presso il GCSPLink esterno indica che «gli Stati che posseggono armi nucleari e i Paesi che questi ultimi proteggono, in base ad accordi bilaterali, non vogliono certo privarsene e nemmeno essere tacciati di illegalità o illegittimità. Sarebbe una situazione che metterebbe in dubbio la loro collaborazione nel settore della difesa. Tuttavia va ricordato che la maggior parte degli Stati sostiene questo testo [122 lo hanno adottato, 57 lo hanno firmato e 5 lo hanno ratificato, ndr]. È un’evoluzione che dovrebbe permettere il raggiungimento di una norma comune. I Paesi dovranno fare una scelta. Per la Svizzera sarà difficile mantenere una posizione di compromesso».

Di fatto, il trattato evidenzia un’iniziale presa di coscienza rispetto a una accresciuta minaccia atomica.

Sabrina Dallafior, rappresentante permamente della Svizzera alla Conferenza sul disarmo. swissinfo.ch


Minacce multiple

Il rischio è reale in Corea del Nord, anche dopo l’annuncio a sorpresa di un possibile incontro tra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il nordcoreano Kim Jong-Un. Quest’ultimo ha dichiarato di essere pronto a negoziare sulla denuclearizzazione della penisola coreana; una dichiarazione che ha allentato un po’ la tensione.

Nonostante i tentativi di distensione, rimane il fatto che la Corea del Nord va considerata una potenza nucleare, assieme agli otto Paesi che detengono armi atomiche (Francia, Regno Unito, Russia, Stati Uniti, Cina, Israele, India e Pakistan).

La proliferazione atomica continua. Basti ricordare che il presidente degli Stati Uniti minaccia, quasi ad ogni piè sospinto, di volere annullare l’accordo internazionale sul nucleare iraniano con cui si intende impedire a Teheran di diventare la prossima potenza nucleare.

A rischio i trattati esistenti

Questa è solo una delle minacce legate all’armamento nucleare. «Da diversi anni, la Svizzera osserva con particolare inquietudine la tendenza verso l’armamento piuttosto che verso il disarmo. Se da una parte il numero di armi nucleari è in calo, dall’altra la loro qualità è migliorata. Tutti i Paesi che possiedono armi nucleari dispongono di programmi di modernizzazione», indica Sabrina Dallafior.

È una preoccupazione condivisa anche da António Guterres. Il 18 gennaio, nell’ambito di un incontro del Consiglio di sicurezza incentrato sulla non proliferazione delle armi di distruzione di massa, il segretario generale delle Nazioni Unite ha sottolineato con forza che «la paura nel mondo nei confronti delle armi nucleari ha raggiunto il livello più alto dopo la Guerra fredda. E ciò in un contesto in cui gli Stati destinano sempre più soldi per l’esercito e le armi». È un’evoluzione confermata anche dall’ultimo rapportoLink esterno del Stockholm international peace research institute (SIPRI).

Il portoghese punta il dito in particolare contro Washington e Mosca: «La fiducia tra Stati Uniti e Russia per quanto riguarda il nucleare e altre questioni continua a indebolirsi. Gli accordi volti a contenere gli armamenti strategici presi durante e dopo la Guerra fredda sono in pericolo. Sembra non ci sia più alcun interesse a negoziare nuove intese relative alla riduzione dell’arsenale nucleare in vista della scadenza nel 2021 del trattato sulle misure per limitare le armi strategiche».


Il risveglio della Conferenza per il disarmo

Pertinente o no, il trattato volto a proibire le armi nucleari non è certo l’unica risposta contro la minaccia nucleare. A GinevraLink esterno, la Conferenza per il disarmo (CDLink esterno), che di recente ha trovato un accordo su un nuovo metodo di lavoro dopo 20 anni di stallo, potrebbe fare ulteriori passi avanti. Almeno questo è ciò che ci si augura viste le intenzioni manifestate dai suoi membri.

«È stata una decisione presa all’unanimità dalla CD; un fatto ritenuto impossibile in precedenza. È un accordo che riguarda il nucleare, ma anche gli altri sviluppi dell’industria degli armamenti», conclude Sabrina Dallafior.

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