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In Svizzera la democrazia sta bene, o meglio quasi bene

Preoccupazioni ma nessun allarmismo per il futuro della democrazia diretta in Svizzera. È il messaggio comune dei politici e accademici che sabato a Ginevra hanno partecipato a una conferenza sul tema. E questo mentre la crescita del populismo e della demagogia sulle due sponde dell’Atlantico minaccia la perennità delle democrazie liberali.

Questo contenuto è stato pubblicato il 30 gennaio 2017 - 15:43
Frédéric Burnand Genève
Il ministro delle finanze del canton Vaud Pascal Broulis (a sinistra) e l'ex consigliere federale Pascal Couchepin (a destra), in occasione della conferenza svoltasi a Ginevra sulle sfide che attendono la democrazia svizzera. swissinfo.ch

Le fratture provocate dalla globalizzazione, la forza dei cambiamenti tecnologici, l’avanzata dei partiti populisti fanno da sfondo al cortometraggio realizzato da Charles Kleiber, ex segretario di Stato alla scienza. Ed è con questo film che si è aperto sabato alla Maison de la paixLink esterno (“Casa della pace”) di Ginevra un dibattito sulle sfide che attendono la Svizzera e le sue istituzioni politiche, organizzato dal  Graduate Institute e dai think tanks Avenir Suisse e foraus.

“Continueremo sempre ad essere risparmiati (noi svizzeri)?”, s’interroga Charles Kleiber nel cortometraggio, prima di invitare a dare nuova linfa alla democrazia svizzera citando Tucidide, un politico della Grecia antica: “Riposarsi o essere libero”.

Con quattro votazioni l’anno a livello nazionale, i cittadini svizzeri sono tenuti svegli dalla democrazia diretta, prezioso complemento della democrazia rappresentativa, afferma il professor Hanspeter Kriesi, dell’European University Institute.

Se non fosse che il tasso di partecipazione in Svizzera è solitamente basso. Per l’eminente politologo, il problema non sta nel numero di scrutini, ma nella quantità di oggetti sottoposti al voto, che nel maggio 2003 erano ad esempio ben 9: “Questo si traduce in un rifiuto del dibattito politico e favorisce l’astensionismo. Si sa che più la campagna precedente il voto è intensa, più la partecipazione è alta”.

Ma cosa ne è degli stranieri che nella stragrande maggioranza dei cantoni non hanno diritto di voto, quando in alcune città rappresentano il 50% della popolazione? Di fronte a questa realtà che indebolisce la dimensione partecipativa della democrazia diretta, il professore di diritto costituzionale Andreas Auer sottolinea l’impasse attuale: “Coloro che si oppongono al diritto di voto per gli stranieri invocano regolarmente la possibilità di naturalizzarsi e al contempo sono sempre loro a voler inasprire le condizioni di accesso alla cittadinanza elvetica”.

La CEDU come garante dei diritti dei cittadini

Ma è proprio l’ascesa di movimenti xenofobi e anti-sistema sulle due sponde dell’Atlantico che mette maggiormente in pericolo la perennità delle democrazie liberali. In Svizzera questa spinta si esprime attraverso l’aumento di iniziative popolari poco chiare e dal carattere demagogico.

Invece di bloccare simili progetti, l’ex consigliere federale Pascal Couchepin ricorda il ruolo importante svolto dal Tribunale federale e dalla Corte europea dei diritti umani (CEDU), come istanze di ricorso. È assurdo parlare di giudici stranieri, come fa l’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice), afferma Couchepin, poiché la Svizzera e gli altri paesi europei hanno istituito la CEDU di comune accordo e ogni Stato ha ratificato il trattato per integrarla nella legislazione nazionale.

Poiché non esiste democrazia liberale senza Stato di diritto e senza indipendenza della giustizia. E in questo senso la CEDU rappresenta l'ultima possibilità di ricorso per quei cittadini che ritengono che i loro diritti siano stati violati, hanno ricordato diversi oratori.

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