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Svizzeri frontalieri nella madrepatria? Spesso c'entra il sogno della casa

Keystone / Davide Agosta

Sono aumentate negli ultimi anni le persone con passaporto rossocrociato che si sono trasferite oltre frontiera pur mantenendo l'occupazione nella Svizzera italiana. Le ragioni possono essere varie ma alla fine è sempre rilevante l'aspetto economico.

Questo contenuto è stato pubblicato il 06 maggio 2023 - 14:39

Una casa di oltre 240 metri quadri in stile liberty immersa in un giardino di oltre 1'300 metri quadri in una zona residenziale a Clivio, piccolo comune dell’Alto Varesotto. Il coronamento di un sogno coltivato tutta la vita da Roberto e Giovanna (nomi di fantasia noti alla redazione, ndr), lui architetto e lei dipendente di uno studio medico nel Mendrisiotto.

Non più giovanissima ma tuttora attiva professionalmente la coppia all’inizio dell’anno scorso ha preso la decisione: si va ad abitare in Italia. Non ci troviamo di fronte a un caso di necessità, che pure si può osservare in molti comuni di frontiera dove coppie elvetiche, madri singole o persone impiegate a tempo parziale sono spinte a trasferirsi oltre frontiera poiché stentano ad arrivare a fine mese.

Ma sicuramente un analogo investimento immobiliare nella Confederazione avrebbe consentito di acquistare solo un appartamento o poco più. Niente casa unifamiliare e niente grande giardino. “Abbiamo trovato una casa che ci piaceva, l’abbiamo fatto per esaudire un nostro desiderio”, dice Roberto.

Residenti che diventano frontalieri e viceversa

Del resto che l’abitazione sia uno dei motivi principali che inducono le e i residenti della Svizzera italiana a trasferirsi nel Belpaese - ma sempre a una distanza accettabile dal posto di lavoro - lo conferma lo studio pubblicato alcuni mesi fa dall’Ufficio cantonale ticinese di statistica (USTAT) Vivere o lavorare in TicinoLink esterno che ha analizzato i flussi dei trasferimenti di domicilio al di là del confine di frontalieri e residenti.

Studi dettagliati sulle ragioni individuali di queste scelte non sono stati condotti finora ma, come suggerisce l’esperienza empirica, l’incremento di attrattività osservato negli ultimo decennio dello statuto di frontaliere, rispetto a quello di residente, è dettato da diversi fattori, quali il maggiore potere d’acquisto (salari più alti nella Svizzera italiana e costo della vita più basso in Italia), evoluzione discendente del cambio euro-franco, mercato immobiliare (affitti e compravendite) più accessibile, assenza dell’obbligo di assicurazione malattia privata, fiscalità che evita la doppia imposizione (e ulteriormente agevolata fino all’entrata in vigore del nuovo regime introdotto dall’accordo italosvizzero del dicembre 2020), miglioramento oggettivo dei trasporti pubblici transfrontalieri e l’attrattività in vari ambiti dei poli urbani lombardi.

Fenomeno più ampio a Ginevra

Sono circa 20'000 i cittadini e le cittadine svizzere che vivono oltre la frontiera ginevrina, nei dipartimenti dell’Alta Savoia e dell’Ain. Un esodo dovuto anche in questo caso a ragioni economiche e in particolare alla situazione del mercato immobiliare nel cantone francofono, dove sono ormai introvabili alloggi disponibili, anche a prezzi non del tutto popolari.

Si tratta di un fenomeno di ampiezza assai superiore rispetto a quanto si sta assistendo nella Svizzera Italiana, dove le cifre sono assai più contenute. Anche perché le realtà urbane tra Ginevra e Ticino sono diverse, così come lo sono i prezzi immobiliari, che nella città di Calvino sono spesso esorbitanti. In totale i frontalieri a Ginevra sono 104'000 a fronte di una popolazione residente di 500'000 persone.

Con l’adozione della preferenza indigena, seguita alla votazione sull’iniziativa del 2014 contro l’immigrazione di massa, anche le e i residenti all’estero con passaporto svizzero sostengono di venire discriminati nella ricerca di un impiego nel cantone, dove viene accordata la precedenza ai candidati domiciliati.  

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“Viviamo in un ambiente tranquillo e rilassato, l’acquisto della casa per noi è stato fondamentale per la nostra scelta”, precisa Roberto che sottolinea come le amministrazioni funzionino anche nelle piccole realtà d’oltre frontiera che “hanno la mentalità come la nostra”.

E può persino capitare che le cose funzionino persino meglio. “Ho inoltrato la domanda di costruzione per i lavori di ristrutturazione della casa il lunedì e alla fine della stessa settimana ho ricevuto l’ok vie email dall’ufficio comunale competente mentre in Ticino occorrono dai tre ai quattro mesi per ricevere per posta la risposta”, rileva l’architetto.

Le cose sarebbero probabilmente cambiate con un’ubicazione diversa: “Se l’immobile si fosse trovato oltre Varese non ci saremmo spostati” e in ogni caso “qui a Clivio ci venivamo regolarmente anche prima a fare la spesa. È a 1,5 chilometri da dove vivevamo prima, a Ligornetto, mentre Mendrisio dista 3,5 chilometri”. Un paese di poco meno di duemila abitanti, continua il professionista ticinese, “dove c’è ancora un panettiere, un macellaio e un supermercato che non esistono più dove risiedevamo un anno fa”.

Prezzi immobiliari assai diversi

E su questo aspetto non si nasconde Roberto. I costi tra le due realtà contigue delle abitazioni e della spesa sono diversi: “Il guadagno c’è, alla fine torna sempre il motivo economico” alla base della decisione di assumere lo status di frontaliere “svizzero”.

Del resto, aggiunge, “sono venuto a conoscenza, che proprio la settimana scorsa altri due cittadini elvetici hanno comperato casa qui vicino, a Viggiù”. Si tratta anche in questo caso di persone di mezza età, “non lontani dal pensionamento ma ancora attivi professionalmente”.

Proprio su questo aspetto il citato studio dell’Ufficio ticinese di statistica (USTAT) aveva tracciato l’identikit delle e degli ex residenti nel cantone italofono divenuti frontalieri (tra cui anche alcune centinaia con passaporto rossocrociato): il loro aumento negli ultimi anni è stato trainato soprattutto dagli ultraquarantenni, provenienti dal Mendrisiotto e generalmente di cittadinanza straniera (italiana). La vicinanza del confine, spiega l’indagine, diminuisce il costo non solo in termini finanziari ma anche culturali e affettivi, di trasferimento rendendo di fatto facile uno spostamento, in un senso o in un altro.

La sanità è la stessa?

Fin qui tutto positivo. C’è però da porsi l’interrogativo riguardo ai possibili inconvenienti connessi con la perdita di alcune prerogative riconosciute del sistema elvetico. In primo luogo la sua eccellente sanità. “Innanzitutto va detto che buona parte dei medici e del personale infermieristico che c’è all’ospedale Beata Vergine di Mendrisio proviene dal Varesotto”, osserva il professionista ticinese.

“Il primo anno viene assegnato ai nuovi domiciliati dall’ASL di Arcisate un medico di famiglia che però può essere cambiato una volta trascorso questo breve periodo. Noi comunque abbiamo stipulato anche un’assicurazione privata con un premio di 120 euro mensili, che ci costa quindi assai meno di quella obbligatoria vigente nella Confederazione. E quando ne abbiamo avuto bisogno le prestazioni sanitarie ricevute sono state rapide e analoghe a quelle elvetiche”.

Non sembrano quindi esserci controindicazioni derivanti dalla rinuncia a vivere in Svizzera. “Per il momento non riesco a immaginarmi cosa io abbia potuto perdere con questa scelta”, rileva Roberto. “Gli amici sono rimasti gli stessi, le abitudini anche e mi capita spesso di trovare casualmente conoscenti ticinesi al bar qui vicino”. Il traffico in certe fasce orarie, quelle più battute dai pendolari, è sicuramente un problema ma “mi sono organizzato di conseguenza, evitando gli spostamenti in alcune ore della giornata”.

Spesso però il soggiorno all’estero dei e delle connazionali termina quando diventa necessario, in tarda età, il ricorso costante a prestazioni sociosanitarie. In questo caso normalmente le persone cresciute nel sistema elvetico preferiscono gli istituti di assistenza medica della Confederazione. Questa però non è una prospettiva che sembri allarmare il nostro protagonista.

“Non escludo che un giorno possa anche succedere ma non è il nostro pensiero in questo momento”, risponde l’architetto mendrisiense. “Non saprei dare ora una risposta, quello che posso dire è che i miei genitori, che hanno dovuto ricorrere a strutture di assistenza per anziani, non sono stati seguiti in modo sostanzialmente diverso nella Confederazione da quanto ho potuto appurare in Lombardia”.   



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