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Svizzeri che diventano frontalieri, un fenomeno in crescita

A spostarsi oltre frontiera per recarsi al lavoro sta diventando un'abitudine anche per diversi svizzeri e svizzere. © Keystone / Gaetan Bally

Lavoratori e lavoratrici residenti nella Confederazione, alcuni anche con passaporto rossocrociato, che decidono di andare a vivere appena al di là del confine, mantenendo però la loro occupazione in Svizzera. È un fenomeno forse ancora relativamente ridotto dal profilo quantitativo ma che sta conoscendo, di anno in anno, una crescita che incomincia ad essere significativa.

Questo contenuto è stato pubblicato il 25 marzo 2023 - 08:00

Anche perché, come ha evidenziato il recente studioLink esterno Vivere o lavorare in Ticino? pubblicato dall’Ufficio cantonale di statistica (Ustat), questo trend va a innestarsi sull’evoluzione inversa dei frontalieri e delle frontaliere che, nonostante l’incessante incremento negli ultimi anni, tendono a stabilirsi sempre di meno nello Stato in cui esercitano la loro attività.

Vivere in Svizzera, insomma, sembra non avere più lo stesso appeal di un tempo, almeno per questa particolare categoria di popolazione attiva, e questo vale in una certa misura anche per gli stessi cittadini e cittadine elvetici. Un paio di numeri aiutano a comprendere questa nuova situazione.

Vivere in Italia mantenendo l'occupazione in Ticino

Dal 2013 al 2019, riporta la citata pubblicazione dell’Ustat, sono aumentati del 64% le e i residenti nel Canton Ticino che sono diventati frontalieri/e e nel contempo sono calati della metà i lavoratori e le lavoratrici transnazionali provenienti dal Belpaese che si sono trasferiti, con i familiari, nel cantone sudalpino.

Più nel dettaglio nel 2013 sono stati 1’546 le e i frontalieri stabilitisi nel cantone italofono, sei anni dopo il loro numero si è ridotto a 717. Il processo inverso ha invece riguardato nel 2019, anno in cui i rapporti di forza si sono ribaltati, 941 residenti “ticinesi” che si sono trasferiti oltre frontiera (sono stati invece 587 nel 2013). In totale, quelli che vengono denominati non del tutto correttamente “frontalieri al contrario”, compresi i loro familiari, sono passati da 758 a 1’244 tra il 2013 il 2019.

Tra questi ultimi si contano pure cittadini e cittadine svizzere, che in sei anni sono passati da 285 a 326. Come accennato si tratta in questo caso di cifre ancora contenute ma che possono comunque essere interpretate come indice di un’evoluzione inedita in atto.

È noto infatti come le e i confederati siano gelosi delle loro tradizioni, della loro sanità e dei loro servizi, per menzionare solo alcune delle peculiarità delle amministrazioni pubbliche elvetiche. Ed è quantomeno curioso constatare che un numero crescente di cittadini e cittadine elvetiche siano disposti ad abbandonare tutto questo per immergersi in una realtà non del tutto assimilabile a quella della madrepatria.

Se poi si getta uno sguardo più generale sui confederati e e sulle confederate che si sono trasferiti in Lombardia, senza per questo mantenere la loro occupazione in Svizzera, le e gli espatriati nella regione settentrionale dal gennaio 2018 sono stati ben 1'575 – 530 nella provincia di Como e 504 in quella di Varese – secondo il dato fornito dal Consolato svizzero di Milano.

Una casa per tutti... comune.varese.it

Varese guarda ai frontalieri (anche elvetici)

Che forse il vento stia cambiando lo hanno capito anche le amministrazioni di confine, come dimostra la campagna appena lanciata dal comune di VareseLink esterno che ha l’esplicito scopo di attirare residenti. “Lavoro in Svizzera ma vivo a Varese” è il motto che appare da alcune settimane sui canali social della “Città giardino” in cui sette manifesti promuovono il centro urbano a pochi chilometri dal confine, con offerte diversificate.

A partire dagli asili nido gratis per le famiglie di frontalieri, collegamenti ferroviari potenziati, eventi culturali, ampi spazi verdi, infrastrutture sportive e riferimenti espressi al nuovissimo Palaghiaccio, in cui si praticano discipline assai amate nella Confederazione.

Ma il manifesto che è maggiormente indirizzato soprattutto al potenziale pubblico elvetico, confrontato con prezzi spesso proibitivi degli immobili nella Confederazione, recita “perché ho trovato la casa dei miei sogni”.

Collegamenti transfrontalieri veloci comune.varese.it

Una petizione per frenare l'esodo oltre confine

Ma c’è anche un secondo indizio rivelatore di questa tendenza. Nello scorso mese di dicembre l’ex sindaco chiassese Moreno Colombo ha inoltrato a Bellinzona una petizioneLink esterno con cui si chiedono lumi alle autorità cantonali sulla reale portata, anche di tipo quantitative, di un fenomeno che tocca anche “persone con passaporto svizzero che lasciano definitivamente il proprio domicilio per erigerlo successivamente in Italia oppure, in pensione, in altre nazioni”. 

Questo, indica sempre l’atto che è attualmente all’esame della commissione economia e lavoro del legislativo ticinese, allo scopo di conoscere gli intendimenti di Governo e Parlamento cantonali per cercare di frenare un “esodo” che a detta dell’ex deputato nel Gran Consiglio ticinese “contribuisce a impoverire il nostro tessuto socio-economico e non solo”.

Asili nido offerti dal Comune comune.varese.it

Le cifre che emergono dallo studio dell’ufficio di statistica cantonale (USTAT), ci dice Moreno Colombo, sono aggiornate al 2019 ma successivamente “la progressione è stata sicuramente importante”. La sensazione che ha maturato l’ex sindaco di Chiasso, "sulla base delle informazioni che ho potuto raccogliere da amici e conoscenti, è che sono sempre di più le persone che scelgono di migrare oltre confine”.

E questo per evidenti ragioni derivanti dal "divario nel potere d’acquisto, ai due lati del confine", che si ha con un salario o una rendita elvetica. In fin dei conti, aggiunge Moreno Colombo, le realtà e in una certa misura persino la mentalità e le abitudini nelle regioni a cavallo della frontiera sono simili. Ma nel contempo, esemplifica, in Ticino “una persona su tre è costretta a chiedere i sussidi pubblici per l’assicurazione sanitaria obbligatoria, e questo è tantissimo!”.     

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"Vado a vivere in Italia", il servizio del settimanale Falò del 27 giugno 2019.

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