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Nel Rinascimento i quadri valevano pochi maiali

La Sacra famiglia di Michelangelo del 1505-06 esposto alle Gallerie degli Uffizi a Firenze. Keystone / Claudio Giovannini

Una mostra a Vicenza ci spiega quanto valevano le opere d’arte nel Rinascimento. Non potendo affidarsi alle monete, visto che all’epoca ne circolavano parecchie e di valore variabile, hanno preso come indice di riferimento il maiale di mezza taglia.

Questo contenuto è stato pubblicato il 03 aprile 2022 - 20:00
Sabina Zanini, Tempi moderni RSI

Si intitola “La fabbrica del RinascimentoLink esterno” la mostra allestita a Vicenza che racconta il periodo storico in cui è nato il mercato dell’arte. Ma quanto valevano nel Cinquecento i capolavori che oggi ammiriamo in tutti i musei? Lontani dalla concezione romantica dell’opera unica scaturita dal genio dell’artista, all’epoca a contare non erano le idee – che si potevano anche replicare o copiare da altri – ma erano i materiali e le ore di lavoro a determinare i prezzi. Dunque, ad esempio, una tela con molti personaggi costava più di un quadro con un soggetto semplice e un busto di marmo o bronzo era più prezioso di un dipinto.

I curatori della mostra per fare comprendere a noi contemporanei il costo degli oggetti esposti hanno elaborato un tariffario un po’ particolare. Non potendo affidarsi alle monete, visto che all’epoca ne circolavano parecchie e di valore variabile, hanno preso come indice di riferimento il maiale di mezza taglia. E così si scopre che il “Ritratto di due cani” di Jacopo Bassano, oggi al Louvre nella stessa sala della Gioconda, all’epoca valeva poco meno di un maiale intero, contro i quasi due maiali della camicia di seta del conte Ippolito Porto. O che il grande architetto Andrea Palladio guadagnava circa 22 maiali all’anno, solo due maiali in più rispetto a un artigiano specializzato in una seteria.

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