Criptovalute hackerate dalla Corea del Nord
Come aggirare le sanzioni fiscali? Rubare criptovalute. L'idea sarebbe del leader nordcoreano Kim Jong Un. Così almeno la pensa l'intelligence sudcoreana che è convinta che ci sia Pyongyang dietro gli attacchi hacker alle criptovalute, in particolare Bitcoin. Così agendo Pyongyang avrebbe accumulato milioni in valuta virtuale. Almeno 7 milioni di dollari sono stati rubati: oggi hanno un valore decuplicato di 82,7 milioni. Inoltre, gli hacker si sono impadroniti dei dati personali di almeno 30mila persone.
Secondo gli esperti, l'obiettivo dell'attacco è quello di evadere le sanzioni fiscali a cui è sottoposto la Corea del Nord. Da tempo si sospetta che Kim Jong-un abbia accumulato un presunto tesoretto di Bitcoin da usare contro le pesanti sanzioni imposte al Paese.
L'attacco di cui si conoscono i dettagli è stato compiuto lo scorso febbraio ma è stato scoperto solo lo scorso luglio, senza che venissero individuate responsabilità. Il network preso di mira è Bithumb, fondato in Corea del Sud - dove è il più importante del Paese - e il quinto al mondo per volume di transazioni. Dopo la violazione, gli hacker hanno chiesto un riscatto di vari milioni alla compagnia per restituire i dati personali dei trader.
Un altro attacco, a settembre, ha preso di mira un'altra piattaforma per le criptovalute, Coinis, mentre un altro è stato sventato lo scorso ottobre. La materia non è soggetta a legislazione in Corea del Sud, e il governo sta cercando di correre ai ripari.
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