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No, la Svizzera non lascia morire gli anziani

Negli ospedali svizzeri vi sono attualmente circa 1'600 letti di terapia intensiva, che potrebbero presto essere aumentati a 2'000, stando a quanto affermato dal ministro della sanità Alain Berset. Il 20% di questi letti sono occupati da pazienti affetti da Covid-19. Venerdì scorso ve ne erano ancora 342 liberi. Keystone / Anthony Anex

La Svizzera non nega la rianimazione agli anziani malati di Covid-19, anche se l'età è un criterio per l'ammissione in reparti di cure intensive nel caso in cui questi dovessero trovarsi al limite delle capacità. Una prassi in realtà prevista in molti paesi, tra cui l'Italia.

Questo contenuto è stato pubblicato il 26 ottobre 2020 - 12:11

Il tam-tam mediatico è partito sabato con un articoloLink esterno pubblicato da La Stampa, dal titolo piuttosto sensazionalistico: "La Svizzera sceglie: rianimazione negata agli anziani malati di coronavirus".

Poi, malgrado le rapide precisazioniLink esterno del 'debunker' Paolo Attivissimo, come spesso accade nel gioco del telefono senza fili la notizia (o meglio la non notizia, come vedremo in seguito) ha subito ulteriori distorsioni. Su La Repubblica, il catenaccio dell'articolo lascia ad esempio intendere che il protocollo dell'Accademia svizzera delle scienze mediche sia già attuato, mentre il Secolo d'Italia parla di un documento in vigore dal 20 marzo scorso ma "finito in rete solo da poche ore" e di cui è entrato in possesso il quotidiano La Stampa. E naturalmente sulle reti sociali è stato un fiorire di commenti, in gran parte scandalizzati.

L'articolo originale del giornale torinese è fattualmente corretto: il protocollo dell'Accademia svizzera delle scienze mediche e della Società svizzera di medicina intensiva prevede direttive ben precise per l'ammissione in terapia intensiva "in caso di scarsità di risorse". Fino ad oggi, però, fortunatamente nella Confederazione i reparti di cure intensive hanno assorbito lo choc senza dover applicare questo protocollo. Non vi sono stati quindi casi di anziani non curati, come titola La Repubblica.

Inoltre, il protocolloLink esterno è stato pubblicato nel marzo scorso e in Svizzera se ne era già ampiamente parlatoLink esterno. Perché improvvisamente questa notizia rimbalzi ora nella Penisola è un mistero.

"L'età in sé e per sé non è un criterio decisionale applicabile"

Accademia svizzera delle scienze mediche

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Ma vediamo più in dettaglio in cosa consistono queste direttive. L'età è solo uno dei numerosi fattori di cui i medici devono tenere conto: "In sé e per sé non è un criterio decisionale applicabile, in quanto attribuisce agli anziani un valore inferiore rispetto ai giovani e vìola in tal modo il principio costituzionale del divieto di discriminazione. Essa, tuttavia, viene considerata indirettamente nell’ambito del criterio principale «prognosi a breve termine»", si legge nel documento.

In altre parole, un settantenne senza altre malattie, con buone possibilità di sopravvivenza, sarà ammesso in terapia intensiva, al contrario di una persona di quarant'anni, affetta da una malattia oncologica e con un'aspettativa di vita breve. Per contro, se i medici dovranno decidere se ammettere un 85enne o un 20enne, entrambi senza altre malattie concomitanti, opteranno per quest'ultimo.

"Nel caso in cui fossimo veramente al limite, non avremmo più letti a disposizione e fosse necessario scegliere tra un paziente e un altro, si sceglierebbe quelli che hanno una prognosi a breve termine migliore", riassume nel servizio della Radiotelevisione svizzera Paolo Merlani, direttore medico delle cure intensive dell'Ente ospedaliere cantonale ticinese.

Contenuto esterno

Una prassi comune a molti paesi

Un altro aspetto sorprendente nel tam-tam mediatico di questo fine settimana in Italia è che la prassi svizzera viene presentata come se fosse un unicum praticamente mondiale. In realtà è una procedura adottata in molti paesi.

Al pari della Svizzera, in Francia l'età è un fattore che entra in considerazione nella decisione dei medici, "soprattutto per i pazienti Covid", come si legge nelle raccomandazioniLink esterno valide per la regione Île-de-France. Un fattore, è bene precisarlo, di cui si teneva conto già prima dello scoppio della pandemiaLink esterno.

"Non si tratta di compiere scelte meramente di valore, ma di riservare risorse che potrebbero essere scarsissime a chi ha in primis più probabilità di sopravvivenza e secondariamente a chi può avere più anni di vita salvata"

SIAARTI

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In Italia, le raccomandazioni della Società di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva (SIAARTI) sono fondamentalmente le stesse e volte "a sollevare i clinici da una parte della responsabilità nelle scelte, che possono essere emotivamente gravose, compiute nei singoli casi".

Per quanto concerne il fattore età, il documento scrive nero su bianco: "Può rendersi necessario porre un limite di età all'ingresso in terapia intensiva. Non si tratta di compiere scelte meramente di valore, ma di riservare risorse che potrebbero essere scarsissime a chi ha in primis più probabilità di sopravvivenza e secondariamente a chi può avere più anni di vita salvata, in un’ottica di massimizzazione dei benefici per il maggior numero di persone".

Quali alternative?

In caso di saturazione, le alternative sarebbero di applicare altri criteri, quali l'estrazione a sorte, il principio di "chi prima arriva meglio alloggia" o dare la priorità a persone con "un elevato valore sociale", osserva l'Accademia svizzera delle scienze mediche.

Tutti criteri che contravverrebbero però ai principi etici fondamentali e che equivarrebbero comunque "a scegliere di non curare gli eventuali pazienti successivi", riassume la SIAARTI.

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