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Il '68 di Francesco Guccini

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Questo contenuto è stato pubblicato il 02 maggio 2018 - 20:50
Lorenzo Buccella, tvsvizzera/spal con RSI (TG del 2.5.2018)

Uno dei più celebrati cantautori figli del '68 è stato indubbiamente Francesco Guccini. Artista che si era già distinto sulla scena musicale italiana e che ha seguito un percorso molto personale in quegli anni.

"Si respirava un’aria di grande cambiamento, ma già negli anni prima. Poi è arrivato quel ’68 a cui io ho partecipato, ma solo fino a un certo punto". Francesco Guccini, in quel 1968, aveva 28 anni, ma aveva già scritto canzoni storiche come "Auschwitz" (1964) o "Dio è morto" (1967).

Gli inizi di quegli scossoni culturali che nel giro di poco tempo impressero un cambio radicale nei costumi e che nel binomio chitarra-parole del cantautore emiliano trovarono una bussola di riferimento. Per quella generazione, ma anche per quelle successive. "Però io non sono mai stato autore politico in senso stretto" ci tiene a puntualizzare oggi Guccini "anzi, allora, non ero visto di buon occhio dai giovani più politicizzati".

Confessioni nei confronti di un'epoca di fervore in cui i rapporti tra uomo e donna incontravano una libertà sessuale fino ad allora sconosciuta. Senza dimenticare la scoperta improvvisa di Bob Dylan, ma anche la necessità, avvertita da Guccini, di andare contro alcune prerogative del tempo: "Mentre tanti volevano distruggere tutto, io a un certo punto ho fatto un album come "Radici", mettendo la foto dei miei bisnonni in copertina.

Per capire chi ero, dovevo anche capire da dove venivo". Questi alcuni dei ricordi legati al ‘68 che hanno guidato una lunga chiacchierata con Francesco Guccini, fatta nella sua casa di Pavana, sugli Appennini tosco-emiliani, di cui qui vi proponiamo un estratto.

 

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