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"Non si può più dire nulla!"

La "cancel culture" (cultura della cancellazione) arriva dagli Stati Uniti, ma è ovunque. Le proteste sociali e razziali hanno spinto al limite il “politicamente corretto”. A che punto siamo oggi? Il punto di vista di Michele Serra.

Questo contenuto è stato pubblicato il 02 giugno 2021 - 08:43

Statue di Cristoforo Colombo abbattute, perché colonialiste. Serie TV come "Friends" criticate per i protagonisti troppo bianchi e troppo poco gay. Teste di moro tolte dagli scaffali, perché razziste. Biancaneve immorale, perché il bacio non è consenziente. La Disney che si scusa, perché Dumbo, Peter Pan e altri film contengono - citiamo - "rappresentazioni negative o insulti verso persone o culture”. E molto altro. Così la scorsa estate 150 personalità (tra filosofi, scrittori e via dicendo) hanno scritto una lettera sul mensile newyorkese Harper’s dicendo - in sintesi - che è diventato "troppo normale" punire chi si esprime (o si è espresso in passato) senza considerare i principi di uguaglianza e di inclusione. In effetti, la cultura della cancellazione ha fatto diverse vittime, portando a boicottaggi, licenziamenti e linciaggi mediatici. 

Nel servizio qui di seguito, Angelo D'Andrea ne ha parlato con il giornalista e scrittore Michele Serra, il quale, tempo fa, aveva asserito: “Dietro la foga della cosiddetta cultura della cancellazione ci sono ferite enormi, torti tremendi. C’è il male”. Oggi, tuttavia, Serra riconosce che vengono fatte delle esagerazioni, non per forza utili alla collettività e alle sensibilità dei singoli.

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Tvsvizzera.it/Ma.Mi. con RSI (Telegiornale del 01.06.2021)

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