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Pitigliano, Gerusalemme di Toscana

La storia di ieri e di oggi di un borgo speciale raccontata da Elena Servi, 90 anni, memoria storica e vivida degli ebrei della Maremma.

Questo contenuto è stato pubblicato il 22 agosto 2020 - 09:51
Daniela Sala e Giacomo Zandonini, RSI News
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Arroccato su una delle colline di tufo che costellano la Toscana meridionale, Pitigliano è un dedalo di vicoli e camminamenti che dominano i colli circostanti. Una campagna verdissima ospita da secoli ulivi, viti e allevamenti ovini. Negli ultimi decenni è diventata meta di un turismo di nicchia, che rifugge grandi città e borghi d’arte sovraffollati. Ma se oggi i cammini scavati nel tufo e gli agriturismi accolgono visitatori da tutto il mondo, durante la Seconda Guerra Mondiale qui si nascondevano decine di famiglie ebree, fuggite per salvarsi la vita e nascoste da fattori e contadini, che rischiavano rappresaglie pur di sottrarre i concittadini ai rastrellamenti nazi-fascisti.

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Tra queste famiglie c’è quella di Elena Servi che, a novant’anni appena compiuti, è l’ultima sopravvissuta di una comunità che nell’800 contava centinaia di persone.

Soprannominata 'la piccola Gerusalemme’, PitiglianoLink esterno divenne un centro dell’ebraismo italiano quando - nel XVI secolo - i conti Orsini decisero di accogliere i transfughi dallo Stato Pontificio e dal Granducato di Toscana, dove erano state introdotte leggi discriminatorie verso gli ebrei, che prevedevano il confinamento in ghetti e limitazioni ai diritti civili e di proprietà. Spopolatasi dal secondo dopoguerra, quando diverse famiglie ebree si spostarono verso altre città italiane, Pitigliano tiene viva questa storia di coabitazione e contaminazione, grazie soprattutto all’associazione "La piccola GerusalemmeLink esterno" - la cui presidente è Elena Servi - e all’omonimo museo, che si snoda tra la sinagoga cinquecentesca e i sotterranei dove invecchiava il vino kosher e si infornava il pane azzimo.

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