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Già assaggiato? Sguardo nelle pentole degli svizzeri, tra passato e presente

"Fame e abbondanza": fino al XX secolo, la Svizzera è stata regolarmente colpita da carestie, mentre oggi è segnata dalla sovrabbondanza. Mara Truog

​​​​​​​In Svizzera non esiste una “cucina nazionale”. Ogni regione ha le proprie specialità. Nei piatti degli svizzeri si riflette dunque anche la storia sociale e la realtà politica di questo piccolo paese.

Questo contenuto è stato pubblicato il 10 maggio 2017 - 11:00

«Il cibo è un argomento interessante, che va oltre il bisogno elementare di nutrirsi», spiega la curatrice Pia Schubiger durante la visita dell’esposizione “Che cosa mangia la Svizzera?”Link esterno. Al centro della mostra c’è la tavola e non è un caso: «È attorno alla tavola che la gente si riunisce durante i pasti, dando vita a un legame sociale».

Mangiare è un atto sociale

La mostra, promossa dal Forum della storia svizzera a Svitto, racconta diversi aspetti del «galateo e delle buone maniere a tavola». Le tovaglie di lino e i tovaglioli, ad esempio, sono stati introdotti in Svizzera a partire XV secolo ed è solo dagli inizi del XVII che vengono utilizzate le forchette, all’epoca con soli due rebbi, mentre in passato la gente mangiava unicamente con cucchiaio e coltello.

«Una delle attrazioni è il celebre servizio di Einsiedeln», spiega la curatrice Pia Schubiger. Il visitatore può infatti ammirare alcuni piatti, teiere e tazze da caffè che il governo zurighese aveva regalato al convento nel 1776, per ringraziarlo della mediazione nella vertenza sui diritti di transito sul lago di Zurigo. Il servizio, composto di 300 pezzi, è stato realizzato nella prima fabbrica di porcellana della SvizzeraLink esterno, a Kilchberg-Schooren, un comune presso Zurigo.

Ma cosa si metteva in tavola all’epoca? Il tipo di alimentazione era determinato essenzialmente dall’economia rurale e dall’origine sociale della popolazione, almeno fino alla rivoluzione industriale nel XIX secolo e alla democratizzazione dei consumi, nel XX secolo. «Le immagini della mostra hanno lo scopo di stimolare l‘appetito», afferma Schubiger. E osano rappresentare quello che potrebbe essere il menù del futuro: insetti allo spiedo, carne da laboratorio e “micro leaves”. A chi spetterà decidere?

«Fame di carne»: la politica nel cibo

La scelta del cibo non ha solo origini sociali, ma anche politiche. Un esempio recente è l’entrata in vigore, il 1° maggio di una legge che autorizza la vendita di grilli, larve della farina e locuste nei ristoranti. Anche i dibattiti sul consumo di carne e gli allevamenti industriali hanno un colore politico e ideologico. L’esposizione dedica così al tema “fame di carne” un intero capitolo.

Soprannominata Madame Tricot, l’artista svizzera Dominique KählerLink esterno ha ricreato per l’occasione una macelleria un po’ particolare, composta unicamente di alimenti lavorati a maglia in 3D. Dominique Kähler «riproduce a maglia tutto ciò che mangia», afferma la curatrice Pia Schubiger. La sua filosofia è semplice: non bisogna buttar via nulla e «dal momento in cui un animale è morto, tanto vale mangiarlo per intero», dal naso alla coda.

Il consumo di carne in Svizzera è aumentato in misura considerevole nel giro di trent’anni: da 31,5 kg pro capite nel 1950, fino a 60 kg nel 1987. Da allora, la tendenza è al ribasso ed oggi la popolazione elvetica mangia in media 52 kg di carne l’anno. Tuttavia, a livello mondiale, gli esperti agrari calcolano che il consumo di carne raddoppierà entro il 2050.

L’esposizione presenta anche delle alternative. Su piatti bianchi vengono messi a confronto dati sul consumo di carne e di insetti. Cosa accadrebbe se invece della carne mangiassimo insetti, come fanno già due miliardi di persone nel mondo? Rispetto a quello di bovini, l’allevamento di insetti comporta una produzione cento volte inferiore di gas ad effetto serra. E con la quantità di foraggio necessaria per la produzione di un kg di carne, si potrebbero ottenere dodici kg di insetti.

Fondue: una creazione pubblicitaria

«Mangiare è un’azione quotidiana, ma non è qualcosa di banale», fa notare la curatrice davanti a una tavola mezza vuota. Intitolata «fame e abbondanza», illustra come la Svizzera sia stata più volte colpita dalla carestia nei secoli passati.

La seconda metà del XX secolo è segnata invece dalla sovrabbondanza. Il rapporto svizzero sull’alimentazione del 1984 constata che in Svizzera si mangia troppo, con eccessivi zuccheri e grassi e troppe poche fibre alimentari. Oggi la metà della popolazione maschile e un terzo di quella femminile sono in sovrappeso. «Ciò che mangiamo dipende anche dall’industria agroalimentare», afferma Schubiger. La scelta del cibo è infatti anche una questione economica.

Ne è un esempio la fondue, eletta piatto nazionale soltanto nel 1930 grazie a una campagna pubblicitaria lanciata dall’Unione svizzera del commercio di formaggio. La prima ricetta risale al 1699, ma allora non era chiamata “fondue” e soprattutto non prevedeva di immergere i pezzetti di pane nel formaggio.  Benché oggi questo piatto sia consumato quasi ovunque, a seconda della regione esistono ricette diverse per la sua preparazione, come la famosa “moitié-moitié” – metà Gruyère e metà Vacherin – tipica di Friburgo.

Al termine della visita guidata, Schubiger si avvicina al tavolo del piacere, perché «mangiare è anche un’ebbrezza dei sensi», invitandoci ad assaggiare un goccio di amaretto fatto in casa e un po’ di cioccolato. E per i più coraggiosi, c’è ben altro sulla tovaglia verde: piccole ciotole con tanto di… insetti. Buon appetito!

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